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martedì 13 maggio 2025
 
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Quei genitori intriganti: «Bambina, che voto hai preso, tu?»

19/11/2018 

Anche quest’anno, al suono della campanella d’uscita da scuola, si è riproposta la solita scena quotidiana: alcune mamme (sempre le stesse da tre anni, per la verità) si sono avvicinate a mia figlia Marta per chiederle quanto avesse preso nel compito in classe. Sono bambini di terza elementare! Francamente non capisco l’accanimento degli adulti nei confronti del voto. Il primo anno, per esempio, già il giorno successivo alla consegna delle pagelle alcuni genitori erano dettagliatamente informati sui voti di ogni componente della classe. Mia figlia è particolarmente diligente, le piace studiare e riesce bene. A volte, però, la vedo svilita dalla costante attenzione che le si rivolge, dallo sguardo indagatore, dall’essere termine di paragone. Mi domando se la competizione, i voti, siano sempre necessari ai fini educativi o non siano più spesso controproducenti.

LAURA

— Cara Laura, ti confesso che molti insegnanti, se potessero scegliere, non userebbero i numeri per valutare. È molto complicato esprimere con una cifra il percorso di un bambino, quel punto di arrivo che è l’approdo di una partenza. I bambini sono tutti diversi e sono frutto del loro vissuto, delle loro esperienze, delle loro famiglie. La scuola si spende molto per strutturare una valutazione oggettiva, per costruire griglie sicure, ma il risultato è la creazione di uno scudo che ripara gli insegnanti dai ricorsi, non il giungere a uno strumento utile per la formazione dei più piccoli. Piuttosto, crea loro notevoli disagi. Mario Lodi, maestro e pedagogista, tempo fa scriveva: «Inevitabile che dove ci sono i voti si fanno confronti […]. La superbia, l’invidia, l’insicurezza, il pettegolezzo sono conseguenze del voto; anche se non sono evidenti e non portano a forme traumatiche (ma talora accade), influiscono negativamente sui bambini e ostacolano l’attuarsi della socialità nella quale il bambino dovrebbe sentire gli altri vicini, e proprio dagli altri dovrebbe ricevere in continuazione stimoli. Senza voti è possibile vivere e studiare, è possibile aiutarsi a vicenda». E ciò che è avvenuto un tempo tra bambini diventa poi impronta indelebile anche nella vita degli adulti genitori. Ma i numeri a scuola esistono e bisogna darli. Allora l’unica soluzione è che siano partecipati: discussi in classe, frutto di riflessione collettiva, di autovalutazione. Rimango sempre molto stupita della grande capacità di leggere a fondo sé stessi e gli altri dei ragazzi anche molto piccoli. Se il numero nasce da un percorso attenua la sua forza distruttiva. Se da qui parte per arrivare a casa, per essere spiegato ai genitori che stanno davanti al portone d’ingresso, forse l’atteggiamento dell’adulto potrebbe cambiare.

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