Peggio di noi per quanto riguarda l’istruzione universitaria in Europa c’è solo la Romania. Lo dicono i dati Eurostat che registrano, in Italia, solo un 26,2% di laureati tra i giovani (30 - 34 anni ) seguito dal 25,6% rumeno. Al primo posti la Lituania (58,7%) seguono Lussemburgo (54,6%) e Cipro (53,4%). Il traguardo della strategia «Europa 2020» è arrivare a quella data ad avere il 40% di laureati. Gli altri Paesi europei sono in crescita. Noi siamo lontani come numero e vicini alla scadenza.
Eppure nonostante le raccomandazioni, il nostro Paese segue la via della limitazione e del rendere difficoltoso l’ingresso ai corsi universitari. A torto o ragione, il sistema dei test sta diventando l’odiato argine ai sogni di tanti ragazzi, sogni più o meno realizzabili, più o meno accessibili, più o meno legittimi. Ma pur sempre sogni e come tali andrebbero quanto meno tutelati e sostenuti e i loro possessori messi alla prova nella realizzazione. Non con lo sbarramento di 60/80 quiz, a volte discutibili, e non certo in grado di valutare “la passione” elemento fondamentale per intraprendere qualunque professione.
Ma così non è. E lo sanno bene quelle famiglie i cui figli desiderano continuare a studiare dopo la maturità. Dopo l’esame di Stato comincia il tour dei test. Che prevede mesi di preparazione, studio intenso, iscrizione a costosi corsi appositamente creati per insegnare a “passare il test”e patemi d’animo. Tutto suddiviso tra genitori e figli, sicuramente ansiosi, ma aggiungiamo, giustamente ansiosi poiché è con quella o quelle prove che si decide il futuro prossimo dei ragazzi. Chi ha sempre sognato di diventare medico ha, a nostro parere, il legittimo diritto a provarci. Così vale per i possibili veterinari, dentisti, architetti, fisioterapisti o designer. Giusto per citare le facoltà molto ambite e ove il numero chiuso rappresenta per molti il rallentamento o la fine di un progetto.
Sappiamo che può sembrare insensato, soprattutto per le facoltà tecniche e scientifiche, pretendere di accogliere tutti gli studenti che ne fanno richiesta. Gli spazi, gli strumenti, il metodo di insegnamento necessitano numeri non troppo elevati per salvaguardare la qualità. Lo stesso, secondo alcuni, può valere per le lezioni delle facoltà umanistiche. Un conto è insegnare filosofia a una platea di 600 persone un conto è il gruppo più ristretto con cui riflettere e ragionare. Resta però il diritto allo studio che va regolarizzato ma non ostracizzato. E il compito di un Paese che vuole crescere è quello di tenere conto delle istanze dei giovani. A volte forse velleitarie o dettate da idee poco chiare ma provenienti da chi è ancora pieno di energia e ha voglia di guardare avanti. E c’è un solo modo per affrontarle che non è limitarle e allontanarle ma aumentare risorse e spazi nel campo universitario e della ricerca. Sapendo che una volta entrati in università i ragazzi che ci credono e che ci tengono andranno avanti. Per gli altri ci sarà una selezione naturale e la ricerca di una nuova strada. Ma almeno hanno avuto una possibilità.