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mercoledì 11 settembre 2024
 
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Quei suoi occhi, come spicchi di cielo

21/03/2019  Il ricordo di Maria Canopi di chi l'ha conosciuta: esile, risoluta, coraggiosa. Raccontava di quando da giovane insegnava in un centro per minori e teneva testa, lei così minuta, a ragazzi con un passato di violenza alle spalle. "Eccomi", la sua ultima parola prima di spegnersi.

Ci sono occhi che ti catturano. Ti scrutano. Ti sfidano. Ti avvolgono. Ti amano. Sono gli occhi delle persone di cui percepisci la santità.

Incontrai madre Anna Maria Canopi lo scorso anno. Era settembre, il lago d’Orta si tingeva dei colori struggenti dell’autunno. Assieme ad amici e a suor Federica, venuta a trovarmi da Fondi, partecipai alla celebrazione dell’ora nona. A quel tempo, era ancora lei la badessa del monastero.

Avevo conosciuto la madre qualche anno prima, condividendo la passione del carcere e quella dell’Eucarestia. L’abbazia Mater Ecclesiae, da lei fondata e guidata, è stata una delle prime realtà, durante l’anno del Giubileo della Misericordia, a chiedere le ostie prodotte dai detenuti del laboratorio “Il Senso del Pane”, nel carcere di massima sicurezza di Opera. Un progetto realizzato dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, voluto da Arnoldo Mosca Mondadori,  che permette a persone che stanno scontando una pena per omicidio di compiere un cammino di consapevolezza e di conversione spirituale. Del resto, c’era da aspettarselo che la prima richiesta di ostie arrivasse da lei: amava raccontare di quando, appena laureata in Lettere alla Cattolica di Milano, fu chiamata a insegnare presso un centro di tutela per minori. Di quel periodo trascorso a insegnare a ragazzi problematici e arroganti, madre Canopi ricordava il grande valore formativo. Lei, esile come lo stelo di un fiore, riusciva a tener testa a giovani più avvezzi alla delinquenza che alla grammatica. Ma che, di fronte a quel celeste puro e disarmante dei suoi occhi, abbassavano la testa, vinti dall’amore che emanava da quella ragazza forte, risoluta, coraggiosa: una santa, appunto.

Quel giorno di settembre dello scorso anno, mentre il primo vento autunnale spazzava via il sole dell’estate, madre Canopi ci accolse per un incontro privato. Aveva mani sottili e lunghe, era ripiegata su sé stessa, e appariva ancora più piccola di quanto non fosse. La veste nera le cadeva un po’ troppo grande, confondendole i lineamenti. Eppure era “bella”, era donna, era… “grande”. E quando i suoi occhi mi guardarono, mentre mi svelava ciò che vedeva nel mio cuore, non potei fare altro che mettermi a piangere. Mi sentii fragile, davanti a lei, che era riuscita a leggere la mia vita, a scrutare la parte più nascosta del mio animo, quella che ognuno di noi cela anche a sé stesso, e tuttavia nel suo sguardo non c’era rimprovero, non c’era rancore, ma soltanto tenerezza.

Chi ha potuto, in queste ore, raccogliere la confessione delle suore benedettine del monastero, racconta che madre Canopi si è spenta silenziosamente, teneramente, quasi. Che abbia pronunciato “Eccomi”, prima di abbandonarsi al sonno eterno. Prima di chiudere, per sempre, i suoi occhi. E privare noi che la piangiamo di quello spicchio di cielo che ci donava, ogni volta che ci guardava.

 
 
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