“Che ne sarà di nostro figlio dopo di noi?”. E’ questo un interrogativo che spesso si pongono i genitori, legittimamente preoccupati del futuro dei loro figli. Ma se è vero che il benessere dei figli è sempre fonte di preoccupazione, lo è ancor di più quando si è genitori di figli disabili. Le strutture inadeguate, l’indifferenza di persone e istituzioni, i pregiudizi, sono tutti fattori che in questi casi contribuiscono a proiettare un’ombra cupa e angosciante sul domani. E’ stato questo il tema centrale di un convegno di sensibilizzazione tenutosi il 30 marzo scorso presso la sede romana dell’Università eCampus, da sempre molto attenta alle tematiche sociali del territorio, in collaborazione con l’Associazione “Artemisia Onlus” che ha presentato il progetto “Dopo di noi”, il cui scopo è quello di fornire assistenza ai portatori di handicap dopo la perdita dei genitori o congiunti che li hanno accuditi.
Ad introdurre i lavori Rita Neri, responsabile della sede romana di eCampus, che ha poi ceduto la parola a Mariastella Giorlandino, Presidente dell’Associazione “Artemisia Onlus” e all’Onorevole Anna Teresa Formisano, coordinatrice del progetto “Dopo di noi”. Nel corso dei loro interventi, le due donne hanno evidenziato alcune gravi criticità della sanità italiana fornendo i dati di una ricerca Istat, aggiornata a Ottobre 2013, secondo cui in Italia ci sono 3.200.000 portatori di handicap, di cui 550.000 disabili gravi. Oltre la metà di loro vive con i genitori, il 10% con il partner, un altro 10% da soli e una quota pari al 20%, completamente senza sostegno. “Le previsioni dicono che nei prossimi anni 12.000 persone con handicap rimarranno sole, un dato che fa paura.” ha sottolineato l’On. Formisano. Il progetto “Dopo di noi” nasce proprio con il proposito di fornire un sostegno a genitori e parenti di disabili, supportando l’inserimento dei loro familiari in case-famiglia demedicalizzate e con assistenza integrata, incentivando il sorgere di solidi rapporti sociali e la partecipazione alle comuni sfide poste dalla quotidianità.
Toccante la testimonianza di Francesca Squillante e Marina Neri, madri di due bambine affette da una malattia molto rara, la mutazione del gene PCDH19, una patologia attualmente incurabile che colpisce le bambine entro un anno di età provocando ritardo cognitivo, tratti autistici e crisi epilettiche “a grappolo” resistenti ai farmaci. “I problemi che le nostre bambine devono affrontare sono tantissimi, a cominciare dalle strutture scolastiche inadeguate e dagli insegnanti di sostegno che non sanno come gestire i loro problemi relazionali” commenta Francesca Squillante “Spesso le famiglie dei bambini normodotati temono il contatto con i bambini autistici, il confronto con una disabilità che rifiutano e, purtroppo, le nostre figlie finiscono sempre con l’essere emarginate. Ma la cosa più grave è il rifiuto da parte degli insegnanti di somministrare il farmaco salvavita in caso di crisi epilettiche, scelta che condanna noi genitori a vivere con l’angoscia che possa succedere qualcosa di grave”. Francesca e Marina sono, rispettivamente, Presidente e Consigliere dell’Associazione “Insieme per la ricerca PCDH19” (www.pcdh19research.org), una Onlus nata nel 2011 per raccogliere fondi a sostegno della ricerca scientifica (è possibile donare il 5x1000). A conclusione del loro intervento hanno sottolineato come il problema non sia costituito soltanto dal futuro ma anche da un presente inquinato da pregiudizi e porte chiuse, mancanza di figure adeguatamente formate e ghettizzazioni. Mariastella Giorlandino, si è subito offerta di mettere gratuitamente a disposizione dell’Associazione “Insieme per la ricerca PCDH19” i suoi centri diagnostici e un ricercatore dedicato.
In uno scenario così arido, fatto di indifferenza e mancanza di ascolto, l’esempio de “La locanda dei Girasoli” appare come un oasi ristoratrice. Ubicato nel cuore del quartiere tuscolano di Roma “La locanda dei Girasoli” è un ristorante che impiega tra i suoi dipendenti ragazzi con la sindrome di Down, di Williams e dell’X fragile. A parlare di questa esperienza è stata la psicologa Simona Balistreri, responsabile dell’Area Sociale del Consorzio Sintesi che promuove l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità “Una delle maggiori difficoltà di questi ragazzi è l’inserimento post-scolastico. In Italia c’è sempre stato un pregiudizio secondo il quale un ragazzo con disabilità è un peso per l’azienda. Noi abbiamo dimostrato che se adeguatamente formati, i ragazzi disabili rendono tanto e quanto i normodotati. Non facciamo assistenzialismo “ conclude la dott.ssa Balistreri “semplicemente mettiamo i ragazzi in condizione di lavorare valorizzando le loro competenze”.
Il dibattito è stato moderato dalla giornalista Rai Vittoriana Abate e dal conduttore Savino Zaba, entrambi molto sensibili all’argomento. La serata si è conclusa con la proiezione de “Il padre e lo straniero” un film del 2010 tratto da un romanzo di Giancarlo De Cataldo e prodotto da Ricky Tognazzi e Simona Izzo, anche loro presenti. “Questo film è la storia di un viaggio” commenta infine Ricky Tognazzi, regista della pellicola “quello di un uomo inconsapevole e immaturo, padre di un bambino disabile e insofferente nei confronti della sua condizione. L’incontro con un uomo arabo che condivide la sua stessa sorte ma che, a differenza di lui, vive la paternità con grande orgoglio, lo riporterà a far pace con la vita e vivere con coraggio la sua “difficile” genitorialità”.