Dicono di voler bene al Napoli, ma non vogliono bene a Napoli. A dire il vero, nemmeno a se stessi e ai loro cari, vogliono bene. Giovedì sera, di certo, stavano, come tanti altri napoletani, facendo baldoria per le strade. La nostra squadra del cuore ha vinto lo scudetto. Dopo 33 anni. La città esplode. Un boato in ogni casa, in ogni piazza, in ogni vicolo. Un grido di liberazione. Si fa festa. Ce n’è bisogno. Tanti sono i limiti, i dolori, le sconfitte che siamo costretti a sopportare. Tante le delusioni, in ogni campo, a cominciare da quello del lavoro. Questo, però, è il tempo della gioia. Tutti hanno bisogno di tutti. C’è bisogno di sentirsi popolo. Di appertenere a qualcuno. Siamo felici, forsennatamente e ingenuamente felici. A dire il vero, però, ci aspettavamo qualcosa del genere. Non solo in prefettura e in questura. Non solo al comando generale dei carabinieri o a palazzo San Giacomo. Tutti sapevamo che la camorra – vigliacca e cattiva – approfitta della confusione generata dalla folla, dai fuochi di artificio, dai fumogeni per le proprie vendette. Per eliminare qualcuno dei suoi rivali, o per fare epurazione interna. Il 23 novembre 1980 era domenica. La Campania, la Basilicata, e in parte la Calabria e la Puglia furono sconvolte da una fortissima scossa di terremoto che provocò migliaia di vittime. Fu il panico. La gente scappava alla ricerca di un posto sicuro. Nel carcere di Poggioreale, Raffaele Cutolo e si suoi scagnozzi, approfittando della confusione, con sangue freddo, fecero ammazzare alcuni dei loro rivali. Anziché correre ai ripari, pensarono alla vendetta. Fu terribile. Non fu l’unica volta. È accaduto anche giovedi notte. Napoli è in festa. La sua squadra ha vinto lo scudetto. Tutti sono pronti a scendere per le strade. Anche “loro” ma non per festeggiare, bensì per uccidere. O, almeno, uccidere prima di festeggiare, ipocritamente, la vittoria del Napoli. La camorra maledeta che continua a insanguinare le nostre strade lo ha fatto anche questa volta. Un giovane di 26 anni è morto. Non era uno stinco di santo. Aveva le sue colpe. Ma a nessuno è dato di ammazzare un uomo. Il movente? Sempre lo stesso. I vari clan della città si fanno la lotta per ottenere più potere, più spazi, più soldi. La droga fa arricchire facilmente e facilmente porta alla perdizione, se non al camposanto. I giovani che cascano nel suo buco nero sono, purtroppo, tanti. Anche Vincenzo Costanzo non ha saputo resistere alla sirena che prima ti incanta e poi ti strozza. La sua vita è finita la notte in cui Napoli era in festa. In mezzo al caos. Difficile è stato anche correre in suo aiuto. Con le strade in subbuglio l’arrivo dell’ambulanza per il trasposrto in ospedale non è stato semplice. Vincenzo è morto. Ucciso. I suoi nemici godono. I suoi amici già preparono la vendetta. E la serpe maledetta continua a mordersi la coda. Così da anni. Occorre schiacciarle la testa. In fretta. Perché la smetta di avvelenare i giovani.