Tempi duri per i giornalisti. Dopo gli insulti sono arrivate anche le liste dei “buoni” e dei “cattivi”, un po’ come a scuola quando c’era il capoclasse. Neanche il tempo di apprendere la notizia dell’assoluzione di Virginia Raggi, che s’è messa in moto la controffensiva grillina, a colpi d’artiglieria pesante: il ministro pentastellato Luigi Di Maio da Roma e l’ex-deputato Alessandro Di Battista dall’America Latina, hanno sparato ad “alzo zero” contro i giornalisti, rei, secondo loro, di aver raccontato solo un mucchio di fandonie sulla vicenda giudiziaria che ha coinvolto la sindaca della Capitale e averne infangato l’immagine, per partito preso, ovviamente. Di Maio ha omaggiato la categoria parlando di “infimi sciacalli”; Di Battista ha precisato con eleganza che chi lavora nei giornali e nelle tv è un “pennivendolo e uno put..na”.
E per chi non avesse compreso i “francesismi”, il giorno dopo è arrivata pure la precisazione: ma sono proprio tutti venduti e corrotti gli uomini dell’informazione nostrana? No, dai, qualcuno che si salva c’è. Il sistema non è tutto marcio. Qualcuno tiene ancora “la schiena dritta” e le racconta giuste da giornalista libero. Segue lista, o meglio listarella, dato lo sparuto numero dei “buoni” elencati: la miseria di otto giornalisti in tutto. Anche se con l’aggiunta, per onor del vero, di qualche decina di anonimi colleghi e colleghe che, sempre secondo il leader dei M5s, avrebbero “capito che chi davvero sta colpendo la libertà di stampa sono i “sicari dell’informazione”. Nientedimeno.
Ma passi che ad esternare sia un “privato cittadino”, com’è, al momento, il signor Di Battista, ma se a farlo è il vicepresidente del Consiglio la questione si fa un po’ più seria. Tant’è che, a poche ore di distanza, il ministro della Giustizia Bonafede, guarda caso, di rimando annuncia una prossima legge sulla stampa che eliminerà gli editori che non siano “puri”. Ma chi decide sulla purezza dell’editore? Cos’è la purezza in editoria? Come si chiede giustamente, con preoccupazione, qualcuno. Chi sarebbe l’editore “puro” e chi, al contrario, l’impuro? Potrà avere un giornale o una tv chi rappresenta gli industriali italiani? Chi è presidente di una squadra di calcio di serie A? Chi è a capo di una chiesa? Chi dirige un partito? Chi costruisce automobili? Chi coltiva geranei? Qui non siamo più solo all’insulto da bar. Questo piano inclinato non porta soltanto a una trivialità insopportabile e strafottente. Fa soprattutto scivolare la libertà di stampa verso la stampa senza libertà. Un po’ alla volta, a colpi di liste di proscrizione.
Scagliarsi contro la stampa è sempre stato uno vizietto della politica, e così sarà sempre. Gli attacchi a testa bassa dei grillini, ora che sono al potere, sono gli stessi degli uomini di potere del passato, forse solo più rozzi e volgari, ma il senso del discorso non cambia. Il monito è sempre uguale: guai a chi disturba il conducente. Specie se gli si contesta d’aver perso per strada proprio un po’ di quella“purezza” di cui vorrebbe farsi paladino (leggi: condoni). Gli esempi non mancano: basta guardare di là dell’Atlantico. Con uno stile simile, sta agendo Donald Trump che, un giorno sì e l’altro pure, accusa la stampa di produrre “fake news” nei suoi confronti, e si permette di zittire, prima, e di cacciare, poi, un reporter della Cnn che fa domande scomode in conferenza stampa. Il sistema è sempre lo stesso: la delegittimazione di chi ti critica.
La stampa libera, per quanto imperfetta e corruttibile, è uno dei pochi cani da guardia della democrazia, il tafano socratico che sta al collo di chi governa. E’ la stampa, bellezza! Per questo se non compariremo nelle prossime liste dei “buoni” compilate da chi siede a palazzo, ce ne faremo una ragione. Anzi un vanto.
(nell'immagine in alto: Alessandro Di Battista ospite a 8 e mezzo, condotto da Lilli Gruber, il 28 maggio 2018. Foto Ansa)