Quando sentii l’annuncio
del cardinale Tauran dalla
Loggia di San Pietro
rimasi senza parole. Sapevo
che l’annuncio del
nome del nuovo Papa mi
avrebbe emozionato, ma
non a quel punto. Era un
gesuita, un mio confratello, ma non
lo conoscevo se non indirettamente,
a parte un brevissimo incontro nei
giorni precedenti, nei corridoi
delle Congregazioni generali dei
cardinali prima del Conclave. Anche
se qualche volta il suo nome era stato
fatto fra i papabili, io non lo avevo mai
considerato, perché per un gesuita
è fuori del previsto una nomina a
vescovo o a cardinale, figuriamoci
Papa! Dopo l’annuncio, chi metteva
il naso nel mio ufficio si immaginava
di trovarmi esultante perché il Papa
era un mio confratello e rimaneva
stupito della mia perplessità. Ma io
non ero né felice né triste per questo,
ero semplicemente esterrefatto.
IL NOME, E CHE NOME!
Ero nel mio ufficio in Sala Stampa e nella sala delle
conferenze i colleghi mi aspettavano
per un primo commento. Mi sentivo
ammutolito… Poi mi feci coraggio e
dissi le due cose che mi erano state subito
chiare e che mi sentivo di mettere
in rilievo come grandi novità: il nome
Francesco – per la prima volta – e il
fatto che era latinoamericano.
Scegliere un nome che nessuno
aveva ancora scelto – e che nome! –
indicava una libertà, un coraggio e
una chiarezza formidabili. Poveri, cura
della creazione, pace, come avrebbe
spiegato il Papa stesso pochi giorni
dopo. La provenienza dalla “fine del
mondo” portava con sé naturalmente
una prospettiva nuova, un punto di
vista diverso su situazioni e domande
dell’umanità e della Chiesa nel mondo
d’oggi, che non avrebbe mancato di
farsi sentire. Mi pare di non essermi
sbagliato.
Confesso che le altre novità di
quella serata o dei giorni successivi –
abito, modo di presentarsi al popolo,
spostamenti in pullman insieme con
gli altri, automobile utilitaria… – non
mi sembrarono così sconvolgenti: forti
ma spontanee. In questo mi era relativamente
facile riconoscere il confratello
gesuita.
Nei giorni seguenti le novità non
mancarono e gradualmente anche io
compresi meglio pian piano la personalità
del nuovo Papa. Ad esempio, ci
fu un certo tempo in cui continuai a
pensare che, prendendo maggiore conoscenza
del nuovo compito e di varie
esigenze pratiche, avrebbe deciso di
tornare a usare l’appartamento papale
o comunque una soluzione diversa da
Santa Marta. Ma non era così. La determinazione
di cambiare non solo il luogo,
ma anche gli equilibri consolidati
del sistema organizzativo della vita
del Papa, dei rapporti con i suoi collaboratori,
era n dall’inizio più ferma e
chiara di quanto mi sarei immaginato.
Non è stato sempre facile imparare
a “convertirsi” al suo nuovo stile,
alla sua libertà di espressione spontanea,
ai suoi appuntamenti personali e
alle sue telefonate…; ma ne abbiamo
gradualmente compreso e apprezzato
i motivi e il grande valore. Molti “lontani”
li hanno capiti anche più rapidamente
di noi “vicini”.
SANTA MARTA E LE ALTRE NOVITÀ
Ma
le novità erano anche nello stile del
rapporto personale del pastore con gli
altri, semplicemente con la gente. La
novità della Messa mattutina a Santa
Marta, con un bel gruppo di fedeli
e con un’omelia che avremmo presto
imparato ad attendere con grande interesse
ogni giorno, e il saluto finale
personale con ognuno dei presenti.
La capacità di coinvolgere il popolo
dell’Angelus o delle celebrazioni interpellandolo
direttamente e invitandolo
a rispondere o a pregare insieme…
La libertà del gesto e la concreta fisicità
delle sue espressioni toccavano
immediatamente, ma in profondità, il
cuore della gente. In questo senso una
delle prime esperienze importanti
che feci personalmente fu quella della
Messa della Cena del Signore, il primo
Giovedì Santo, al carcere minorile
di Casal del Marmo. Secondo l’uso
liturgico abituale si stava prevedendo
che la lavanda dei piedi sarebbe stata
fatta con soli ragazzi. Mi permisi di far
giungere al Papa un discreto messaggio
sul disagio dei giovani e del cappellano,
e la risposta fu praticamente
immediata. Come tutti sappiamo lavò
i piedi anche a ragazze e a musulmani,
come aveva già fatto a Buenos Aires…
Personalmente e come sacerdote,
l’aspetto che più mi ha coinvolto del
nuovo pontificato è il fatto che papa
Francesco è riuscito in tempo brevissimo
a far capire a moltissime persone –
sia dentro sia “fuori” della Chiesa – che
Dio le ama, le desidera, le perdona senza
stancarsi. Lo ha detto e lo ha ripetuto
infinite volte fin dai primissimi
giorni. Tutti abbiamo sofferto molto
dell’immagine di una Chiesa arcigna
e severa, del “no” piuttosto che del “sì”,
arroccata su precetti prevalentemente
negativi e fuori del tempo. Sapevamo
benissimo che era un’immagine
ingiusta, completamente diversa da
quello che cercavamo di dire e di testimoniare;
ma il clima culturale dominante
andava in quel senso e noi non
riuscivamo a cambiarlo.
SINODALITÀ: CAMMINARE INSIEME
Mi pare
che papa Francesco ci sia riuscito in
modo molto efficace e questo mi ha dato
una gioia grande e profonda. E non è stato
un aspetto passeggero del suo servizio:
il Giubileo della misericordia allarga
e approfondisce il messaggio dell’amore,
del perdono, della riconciliazione: lo
ribadisce e lo fa passare attraverso porte
innumerevoli in tutti gli angoli del
mondo, a cominciare non da Roma, ma
da Bangui, dalle periferie portate al centro
spirituale del mondo…
Papa Francesco parla di “sinodalità”,
vive in prima persona la
condizione del credente in cammino
e mette in cammino la Chiesa, perché
esca sempre da sé per andare verso le
periferie, perché siamo “discepoli missionari”.
Ha rinnovato profondamente
il metodo e lo spirito delle assemblee
del Sinodo dei vescovi, ha messo in
cammino una “riforma” della Curia
romana che non si sa bene quando finirà… Ma questo non è un caso, perché
quello che è più importante è che ci
si metta in cammino affidandosi allo
Spirito del Signore, senza voler essere
noi stessi a prefigurare dove e quando
dobbiamo arrivare. Francesco è certamente
coraggioso e fiducioso, cammina nella fede e nella
speranza. Per vivere serenamente e
gioiosamente con lui il suo pontificato
bisogna cercare di partecipare a questo
suo atteggiamento, se no ci si può
sentire turbati o impauriti, o ci si sente
bloccati e incapaci nel percorrere vie e
territori nuovi nei rapporti pastorali,
soprattutto se si tratta di temi complessi
e delicati come quelli della famiglia
o dei rapporti ecumenici…
CULTURA DELL’INCONTRO
Una delle parole
di papa Francesco che mi sono
suonate nuove e che ho messo un
certo tempo a capire, è stata quella
della “cultura dell’incontro”. Poi ho
compreso che per lui l’incontro concreto
fra le persone è fondamentale.
Incontro con Dio, incontro personale
con Gesù Cristo anzitutto, ma anche
incontro con i suoi collaboratori, con i
leader religiosi, con i responsabili dei
popoli, no all’incontro con singole
persone alla ricerca di una parola di
conforto e di vicinanza (le sue telefonate!
Ovviamente una goccia nella
miriade di chi le vorrebbe ricevere,
ma in ogni caso un messaggio
esemplare per tutti).
Ho fatto più volte, sempre con la fiducia di essere ben compreso, un
piccolo paragone fra il modo in cui
papa Benedetto e papa Francesco mi
hanno parlato dei loro colloqui con
i capi di Stato che li visitavano. Benedetto:
la concisa, precisa ed eccezionalmente
lucida indicazione dei
temi trattati. Francesco: le caratteristiche
della personalità umana e degli
atteggiamenti dell’interlocutore.
Ambedue approcci di straordinaria
profondità. In Francesco l’incontro
con l’altra persona concreta risalta in
piena e prioritaria evidenza.
Certamente gli incontri di papa
Francesco sono una delle vie maestre
della presenza dinamica della Chiesa
anche a livello ecumenico, interreligioso
e internazionale. Basti pensare
agli ormai molteplici incontri del Papa
con il patriarca ecumenico Bartolomeo,
al recentissimo incontro con il
patriarca di Mosca Kirill, o alla nuova
linea di rapporti ecumenici con il
mondo evangelico pentecostale rappresentato,
ad esempio, dal suo amico
pastore Traettino di Caserta, o alla annunciata partecipazione alle celebrazioni
del 500° della Riforma a Lund,
in Svezia… Alla nota amicizia con il
rabbino Abraham Skorka e il musulmano
Omar Abboud e al triplice abbraccio
davanti al Muro del Pianto: un
segno nuovo e fortissimo!
A livello internazionale, il clamoroso
riavvicinamento di Cuba e Stati
Uniti è stato certo almeno in parte
propiziato dal carisma di Francesco e
dal suo impulso nella direzione della
riconciliazione fra i popoli. L’evidente
e più volte affermato desiderio di
giungere a un incontro anche con la
Cina potrà diventare alla fine realtà?
Certamente Francesco non fa mistero
del fatto che spinge in questa direzione.
Egli crede nella forza degli incontri
prima ancora che nei tavoli delle trattative.
Così egli serve personalmente il
dialogo e la pace.
UN RIFERIMENTO PER TUTTI
Nel terzo
anno del pontificato papa Francesco
ha viaggiato in tutti i continenti
tranne l’Oceania (Asia, Europa, Africa,
America latina e Caraibi, America settentrionale)
rispondendo alle attese di
popoli diversissimi ma sempre desiderosi
e attenti ai suoi gesti e alle sue
parole. Aveva già parlato al Parlamento
europeo, nel 2015 ha parlato ai Movimenti
popolari come al Congresso
americano, e alle Nazioni Unite a New
York e a Nairobi. Ha pubblicato un’enciclica,
la Laudato si’, che ha intercettato
con larghezza di orizzonti ed equilibrio
le grandi domande cruciali dell’umanità
e della cura della “casa comune”,
collocando la sua critica radicale della
“cultura dello scarto” in un contesto
di responsabilità e di riflessione globale,
attenta alla scienza, alla ragione
umana, alla visione religiosa della persona
umana e del mondo. L’autorità
di papa Francesco ha assunto una
dimensione veramente “globale”,
rispettata universalmente e capace di
dare un vero servizio di orientamento
all’umanità in cammino.
In tre anni sono successe molte
cose. Un cammino che continua in
ascolto dello Spirito più che in attuazione
di progetti e strategie umane.
Non dimentichiamoci dunque di pregare
per papa Francesco, come lui ci
chiede ogni giorno.
Padre Federico Lombardi,
direttore della Sala Stampa della Santa Sede,
portavoce vaticano