Franco Di Mare, la moglie Alessandra e la figlia Stella (foto Catholic Press).
Un giornalista nell’inferno di Sarajevo.
Una bambina in un orfanotrofio
della capitale bosniaca assediata
dai serbi. Un incontro di anime,
una scintilla che diventa paternità, affetto,
amore, famiglia. Capita che l’uomo, durante
un servizio del Tg, la sollevi e la prenda
in braccio, che lei smetta di piangere e che ricominci
a strillare quando la rimette nella
culla. Che quel pianto rimanga incollato nella testa dell’inviato fino a quando non deciderà
di prenderla in affido e poi in adozione.
Una delle scene centrali è quella del dialogo
con il cameramen: il giovane giornalista gli
confessa di essere stato toccato dentro da
qualcosa, di essere turbatissimo da quella
bambina che gli sorride dal fasciatoio mentre
un’assistente le sta cambiando il pannolino.
«Io me la porterei via», dice al collega
(che per la cronaca è Antonio Fabiani).
Franco Di Mare, la moglie Alessandra e la figlia Stella (foto Catholic Press).
E il cameramen
secco: «E perché non te la porti?».
Già: perché?
È il primo romanzo di Franco Di Mare, che
i telespettatori conoscono bene soprattutto
come garbato conduttore di Unomattina e di
altri programmi, ma che quando si spengono
le telecamere continua a rimasticare il
suo passato di giornalista televisivo di guerra
paracadutato nei punti più critici del globo. Il romanzo ha dentro di sé
un ritmo narrativo serrato e una struttura simile a quella di una sceneggiatura cinematografica. Non a caso Beppe
Fiorello, che se ne è innamorato subito, ha sfruttato questo impianto
per trarne una fiction di successo.
Il grande fondale di questo libro è
Sarajevo, il gorgo in cui è precipitata la storia
dopo la caduta del muro di Berlino. La città
dolente che ha aperto la strada al «nuovo
disordine mondiale»: il ritorno dei nazionalismi,
la spirale separatista, la violenza, la pulizia
etnica, la guerra, la fame, i cecchini appostati
nelle trincee sulla collina che dispensano
vita e morte come le parche, la solidarietà
mai mancata anche nei momenti più bui (lepagine dedicate al cardinale Vinko Pulijc sono
tra le più vibranti del romanzo).
Di Mare aveva già raccontato questa ferocia
in una raccolta di testimonianze (Il cecchino
e la bambina, Rizzoli) adoperando l’unico
strumento possibile in grado di rendere meglio
della telecamera: la scrittura nuda e cruda. Di Mare aveva fatto un salto in avanti: una prova letteraria
(si intitola Non chiedere perché, Rizzoli). Forse il solo
modo per raccontare una storia così personale:
l’adozione di sua figlia Stella.
«Ho aspettato che lei crescesse», ci dice nel
salotto mentre con la moglie Alessandra passa
in rassegna le foto dell’album di Stella,
«poi le ho chiesto se le andava che io scrivessi
questa storia. Un romanzo era l’unico modo
di mantenere vivi certi ricordi: se non
avessi fissato i punti essenziali si sarebbe
affievolito, quel poco di fantasia che ho aggiunto
è come il collante che metteva insieme
i tasselli». Di Mare ci ha aperto le porte
della sua casa romana e della sua famiglia
per amore di testimonianza («se mi fossi fermato
a riflettere sulle difficoltà mi sarei fatto
prendere dallo scoramento e chissà a quest’ora
Stella dove sarebbe») e anche per spiegare
come questo libro sia l’unica, vera eredità
che possa lasciare a Stella: «Non c’è nulla
che abbia più valore di qualsiasi eredità materiale:
è la sua storia, la vicenda di una bambina
straordinariamente voluta e amata».
Franco Di Mare, la moglie Alessandra e la figlia Stella (foto Catholic Press).
I bambini adottati, in fondo, sono nati
due volte. Di questo è consapevole anche
Stella, occhi neri incorniciati da capelli neri,
oggi maggiorenne, studentessa appassionata
di Dante che però ha preferito iscriversi a
Economia e commercio. Alessandra racconta
che il loro, nonostante sia figlia unica, non è
un rapporto simbiotico, conflittuale, come
spesso avviene tra mamma e figlia. «Lei è
equilibrata, certamente più matura di molte
ragazze della sua età, più paziente di tante
sue coetanee e forse anche di me».
E il papà Franco, prima di congedarci, sottolinea
un ultimo aspetto del suo romanzo:
«La bambina regala a quell’uomo una visione
diversa, ottimista, fiduciosa del mondo...
Non è il giornalista che salva la bambina da
un destino oscuro. Ma è la bambina che salva
la vita al giornalista».