Caro don Antonio, sono un ingegnere di
sessantacinque anni, sposato con un figlio.
Fin dall’adolescenza ho sempre “lavorato”
in parrocchia e in diocesi. Attualmente
sono moderatore del consiglio
parrocchiale e ho appena ultimato il secondo
mandato nel consiglio affari economici
dell’Azione cattolica diocesana.
Parto dalla “Lettera della settimana” pubblicata
su FC n. 40/2014 (“La morale sessuale fa ancora
presa sui giovani?”) per evidenziare, ulteriormente,
come di fatto esistano nella Chiesa
due “dimensioni” che viaggiano forse in parallelo,
ma su diversa lunghezza d’onda. Da una
parte c’è la Chiesa che definirei “ufficiale”,
dall’altra c’è il “popolo in cammino”, in particolare
l’insieme di donne e uomini credenti, praticanti,
che prestano la propria disponibilità nelle
parrocchie e nelle diocesi assieme ai loro sacerdoti.
E che anche “pensano” e si confrontano.
È un dato oggettivo che molti temi e problematiche
su cui la Chiesa “ufficiale” ancora dibatte
siano per la “base”, già da molto tempo, “nonproblemi”.
Perché si tratta di questioni su cui
non esistono più dubbi e neppure remore di ordine
morale per il popolo.
Le esemplificazioni
potrebbero essere moltissime: cito il problema
della contraccezione, di fatto ampiamente praticata,
con l’unica preoccupazione che non
venga mai meno l’amore per il proprio coniuge
(già più di vent’anni fa, un monsignore della
mia diocesi ai corsi fidanzati diceva: «Il vero peccato
è fare all’amore senza amore»).
Inoltre, è ormai pensiero comune (cito un tema
di cui, ultimamente, si è tanto parlato al Sinodo)
che se una persona, anche divorziata, partecipa
a una celebrazione eucaristica si debba
condividere anche con lei il “pane spezzato”.
Con quale presunzione potremmo negarlo? Cosa
ne direbbe Gesù se vivesse oggi?
Mario G.
Quando il cardinale Martini, nell’intervista
rilasciata al suo confratello padre sporschill,
disse che «la Chiesa cattolica è indietro
di duecento anni», perché non dava risposte
ai problemi degli uomini d’oggi e alle
sfide del tempo moderno, molti si scandalizzarono
e ci furono dichiarazioni polemiche nei
suoi confronti.
Eppure, Martini aveva solo anticipato
quanto abbiamo vissuto nei giorni scorsi con la celebrazione
del Sinodo sulla famiglia che, sotto la
guida vigile di papa Francesco, ha dibattuto
per due settimane su temi diventati “tabù” nella
comunità ecclesiale.
Già il fatto stesso di poterne discutere, con libertà
di parola e schiettezza evangelica, è stato un gran
passo avanti per la Chiesa. Ci ha fatto respirare il clima
del Vaticano II.
Per molti questo Sinodo ha
rappresentato un mini Concilio, che ha saputo
ascoltare la voce dei fedeli, coinvolgendoli anche
attraverso un questionario.
Le contrapposizioni, vere
o presunte, tra i padri sinodali – molto enfatizzate
dalla stampa – hanno invece arricchito il dialogo
e il confronto, in vista del bene dei fedeli. E, nel caso
specifico, della famiglia, che si trova oggi ad affrontare
una miriade di problemi, in una società che fa
davvero poco per sostenerla.
Anzi, sembra volerla demolire,
ogni giorno di più, minando alla radice la
sua stessa esistenza e identità. Per il modo con cui è stato condotto, il sinodo
porterà come frutto una riduzione di quella distanza
che tu, caro mario, sottolinei tra gerarchia e popolo
dei fedeli. in qualche modo, ha già affrontato di
petto il solco esistente tra i precetti della Chiesa
e i comportamenti effettivi dei cristiani, che
molti hanno definito uno “scisma sotterraneo”.
I padri sinodali non dovevano dare risposte immediate
sui temi dibattuti, ma hanno avviato un
cammino all’interno della comunità ecclesiale che,
pur salvaguardando i principi dottrinali o i “valori
non negoziabili” – che nessuno ha mai messo in dubbio,
soprattutto a riguardo della vita e dell’indissolubilità
del matrimonio –, dovrà coniugare la verità
con la carità. e, soprattutto, con la misericordia di
un dio che è padre e non solo giudice. oggi c’è molto
bisogno di una “Chiesa samaritana”, “ospedale da
campo” di cui tanto parla papa Francesco, che sappia
chinarsi sugli uomini e curarne le ferite.