Quante polemiche intorno al presepe, simbolo cristiano troppe volte strumentalizzato per valori contrari alla pace e alla fratellanza che ne sono invece l’ispirazione. L’usanza di radunare il “mondo intero” ad adorare Gesù bambino si fa risalire a san Francesco che, rientrato da un viaggio in Palestina e a pochi giorni dall’approvazione della sua Regola da parte di papa Onorio III, decide la notte del 24 dicembre di celebrare il Natale all’eremo di Greccio celebrando Messa nel bosco. Voleva, dicono i cronisti dell’epoca, vedere con gli “occhi del corpo” il disagio in cui nacque Gesù. Non fu un presepe come lo conosciamo noi, con statuine di angeli e pastori. Neppure la Sacra Famiglia era presente. Si trattò della celebrazione dell’Eucarestia su una mangiatoia (praesaepe, in latino) con i soli asino e bue, ma davanti a una folla di poveri accorsi per questa occasione.
A stabilire e ribadire che l’umiltà e la povertà sono la culla del cristianesimo. Giotto compose l’affresco Presepe di Greccio (ora si trova nella Basilica superiore di Assisi) ispirandosi a questa cronaca. Da quel momento si diffuse l’usanza di riproporre questa scena nelle chiese durante il Natale, con figure di terracotta, cera o legno. Dando anche libertà alla fantasia. Infatti il Vangelo di Luca che racconta la nascita di Gesù non dà tutti i particolari che oggi vediamo nelle scene delle natività, casalinghe o artistiche che siano. E se inizialmente l’allestimento si limitava alle chiese, con il tempo si diffuse tra le famiglie. Inizialmente solo tra coloro che potevano permetterselo, come le case dei nobili dove era un prezioso soprammobile e, svuotato dal suo significato originale, un modo per mostrare la propria ricchezza.
Un grosso impulso lo si ebbe dal Concilio di Trento che ne segnalò la capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare. Quest’usanza tipicamente italiana si sviluppò anche attraverso le differenze culturali. Al paesaggio orientale si aggiunse quello invernale o cittadino. Nacquero diverse tradizioni, da Nord a Sud. Nel modello napoletano, forse uno dei più celebri, comparvero elementi anacronistici come osterie, borghi e mestieri che nulla hanno a che vedere con l’epoca della nascita di Gesù. Per non parlare, oggi, dell’usanza di creare la statuina del personaggio, politico, sportivo o artista, del momento. Tutte caratteristiche che sottolineano ancora una volta la radice popolare. Le figure delle persone che accorsero ad adorare Gesù si diversicarono nei vari mestieri (l’arrotino, il fornaio, il vinaio, la guardiana d’oche, il pescatore, gli animali e i soldati).
Nelle tradizioni regionali esistono personaggi ben precisi come Gelindo, il pastore del presepe piemontese, o Benino, il pastore dormiente napoletano. Ha preso piede in tutta la penisola anche l’usanza del presepe vivente, che si anima nel periodo natalizio. Ricordiamo quello di Pietrelcina, paese natale di san Pio, dove da oltre 30 anni si mette in scena la Natività: 200 guranti e una vera famiglia scelta tra quelle che hanno dato alla luce gli ultimi nati maschi.