La prima pagina del quotidiano algerino El Watan dopo la strage di Parigi
“L'attacco sanguinoso
contro Charlie Hebdo ci fa ripiombare in un passato drammatico
e doloroso, carico di paura e di angoscia”. Sono parole di Omar
Belhouchet, direttore del quotidiano algerino in lingua
francese El Watan. Belhouchet sa bene che cosa significa
vivere con la paura addosso e rischiare la morte solo a causa del
proprio lavoro di giornalista. Durante gli anni Novanta, quando
l'Algeria fu insanguinata dal terrorismo, Belhouchet sfuggì ad
almeno un paio di attentati. Sua moglie morì di crepacuore.
Per incontrare Belhouchet
nella redazione di El Watan bisognava passare controlli di
sicurezza e superare porte di ferro. Quando si spostava in auto,
Belhouchet faceva ogni volta percorsi diversi, spesso dormiva fuori
casa. “Ci domandiamo ancora oggi”, dice Belhouchet, “come
abbiamo potuto resistere al rullo compressore dei terroristi
islamici, ma bisognava resistere per preservare uno spazio minimo di
espressione, testimoniare la realtà atroce nella quale il nostro
Paese era precipitato, descrivere le sofferenze della popolazione”.
La violenza spietata che
ha colpito la redazione di Charlie Hebdo a Parigi viene dunque
da lontano, affonda le sue radici proprio nel decennio di sangue
dell'Algeria. E ci ricorda che nel mirino dei terroristi, forse prima
ancora che l'Occidente o l'Europa (Parigi fu colpita da sanguinosi attentati di matrice algerina nel 1995), ci sono la libertà di pensiero e
di espressione. In primo luogo dei musulmani che vogliono pensare con
la loro testa e magari praticare la loro fede senza farsi accecare
dal fanatismo.
Secondo Belhouchet, fra il
1993 e il 1998 i terroristi algerini del Gia, braccio armato del Fis
(Fronte Islamico di Salvezza), e i gruppi salafiti uccisero 70
giornalisti. Per la Federazione internazionale dei giornalisti la
cifra sale a 100. A parte un operatore televisivo francese ucciso in
un agguato nella casbah di Algeri, tutti i morti furono algerini,
arabi, musulmani.
Per l'Algeria fu uno
stillicidio di lutti. Nessuna redazione fu assalita come è accaduto
a Parigi il 7 gennaio. Gli agguati furono in gran parte individuali.
Il primo a cadere fu Tahar Djaout, direttore di Ruptures,
il settimanale da lui fondato un anno prima. I terroristi gli
spararono alla testa il 26 maggio 1993, mentre egli usciva dalla
redazione. Morì dopo 8 giorni di agonia. Nello stesso anno caddero
altri 8 giornalisti.
Nel 1994 le vittime furono
24, firme di quotidiani, settimanali, radio, televisioni. Uomini e
donne, direttori, capi redattori, semplici redattori, fotografi.
L'anno più nero fu il 1995, con 40 morti. Tra loro anche un
caricaturista, Brahim Guerroui, che pubblicava vignette per il
giornale El Moujahid. Guerroui aveva 44 anni, spesso disegnava
fumetti anche per i bambini e nel 1982 era stato premiato al Salone
internazionale dei Comics di Lucca.
Anche il 1996 fu un anno
pesante, con 21 omicidi. Nel 1997 gli ultimi cinque caduti.
All'elenco vanno aggiunti due giornalisti scomparsi fra il 1995 e il
1997, di cui non si sa più nulla.