Oggi, come e forse più che in passato, c’è bisogno di “voci nel deserto”, di persone solide, autorevoli e senza compromessi, che sappiano indicare, con la vita più che con la parole, la via del Vangelo. Persone che seguano il modello di San Giovanni Battista, ricordato oggi, 24 giugno, dalla liturgia cattolica nel giorno della sua natività (Giovanni, con Cristo e con Maria, è l’unico santo di cui si celebra il giorno della nascita e non quello della morte). La data, fortemente simbolica, che si riallaccia a festività antichissime, legate al solstizio d’estate e alla fertilità della terra, suggerisce quanto questa celebrazione sia radicata nel nostro mondo, fra momenti di preghiera e processioni, ma anche tradizioni e riti popolari. Tantissimi sono i Comuni Italiani, da Nord a Sud, che riconoscono il Precursore del Signore come Santo Patrono. Tra le città più grandi spiccano Torino, Genova e Firenze. In questi capoluoghi di Regione, storicamente, la festa del Battista è anche un momento di confronto tra le Chiese locali e la società civile, in un dialogo che coinvolge credenti e non.
TORINO
A Torino, per monsignor Roberto Repole, l’arcivescovo che ha appena iniziato il suo mandato (si è infatti insediato lo scorso 7 maggio), la celebrazione è stata una delle prime occasioni pubbliche di incontro con il popolo cittadino, con le autorità e le istituzioni del territorio. Le navate dell’austera cattedrale romanica, dedicata proprio a San Giovanni, erano, come ogni anno, gremite di fedeli. «La più grande novità in Giovanni Battista sta nel fatto che lui è vissuto indicando un altro, è vissuto perché lo sguardo si posasse su Cristo» ha detto il Presule nell’omelia della Messa. «Noi cristiani viviamo la natività del Battista per comprendere che anche la novità della nostra vita è racchiusa qui. La nostra vita è tanto più inedita e sorprendente, quanto non concentrata su noi stessi, ma su Cristo. La nostra vita è nuova, anche in questo mondo, nella misura in cui siamo decentrati da noi e concentrati su Cristo. Siamo tanto più noi stessi quanto più entriamo in relazione con Cristo, il salvatore del mondo, l’unico che concede pace, serenità, salvezza». La riflessione di monsignore Repole ha poi toccato una profonda ferita del nostro tempo.
«Come Chiesa e società civile siamo chiamati a riflettere profondamente su qualcosa che è sotto gli occhi di tutti, ma cui non sempre diamo attenzione. L’Italia è un paese sempre più anziano, con un forte tasso di denatalità e se possibile la nostra città rischia di avere un record negativo. Credo che celebrare la natività del Battista significhi interrogarci tutti, Chiesa e società civile, sul perché siamo arrivati qui, sul perché guardiamo alla nuova vita più con paura e con ansia che con apertura alla bellezza. Se non siamo superficiali, le risposte sono di molti ordini, ma non possiamo nasconderci che una delle condizioni è il senso di precarietà lavorativa ed esistenziale. Dobbiamo chiederci se questo possa essere davvero il nostro futuro. Si può impostare una cultura sul senso di precarietà del lavoro e dell’esistenza? Quando si imposta una società così, allora la vita più che essere fonte di bellezza, rischia di essere fonte di paura». E grande è l’amarezza, quando «scavando in profondità si trova il vuoto» e alla centralità della vita si sostituisce «la centralità dell’ultimo prodotto commerciale, del nuovo telefono, della nuova automobile». «Dobbiamo chiederci» questa l’esortazione dell’Arcivescovo «come promuovere la vita, nella sua novità assoluta e nella sua bellezza assoluta e riconsegnare ai nostri giorni la bellezza dell’inizio di una vita, ma anche la bellezza di ogni nuovo giorno».
Nei giorni scorsi lo stesso monsignor Repole aveva indirizzato una lettera aperta alla città, pubblicata dal settimanale diocesano "La voce e il tempo", nella quale rifletteva sul presente e sul futuro della Chiesa locale. «È sotto gli occhi di tutti il fatto che il numero dei preti è in calo ormai da decenni e che la loro età media è piuttosto elevata» osservaca il Pastore. «È meno evidente ai più, anche se non meno significativo, il fatto che anche il numero dei cristiani che vivono una qualche reale appartenenza alla Chiesa è di molto inferiore rispetto al passato». «Appare sempre più chiara, dunque, la necessità anche urgente di ridisegnare il nostro modo di esistere, come Chiesa, sul territorio, al fine di continuare qui ed ora ad essere ciò che dobbiamo essere e ad offrire il Vangelo alle donne e agli uomini che incontriamo e lo desiderano. Non farlo, significherebbe rimanere schiacciati da un passato che ci impedisce di compiere la nostra missione nel presente e, dunque, di essere fedeli a Cristo».
GENOVA
Anche a Genova la festa del Precursore è molto sentita e si articola in diversi momenti. Alle celebrazioni mattutine, culminate con la Messa presieduta dall’Arcivescovo monsignor Marco Tasca, fanno seguito, nel pomeriggio, i Vespri pontificali e poi la processione, anch’essa guidata dal Pastore della Chiesa locale, lungo via San Lorenzo, e la benedizione, con le reliquie del Battista, al mare e alla città, mentre le navi suonano le loro sirene. È un segno carico di valore simbolico: Genova affida al patrono il suo mare, da millenni fonte di vita, di commerci, di benessere e prosperità, però anche di pericoli, di fatiche, di lontananza da casa e dagli affetti più cari.
FIRENZE
«Dal vangelo apprendiamo che il nome, cioè l’identità di Giovanni scaturisce non da logiche umane ma da un disegno divino, di cui è depositario il padre Zaccaria, che lo ha custodito nel silenzio» ha sottolineato, da Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, durante l’omelia della Messa. Anch’egli ha voluto riflettere sulle fatiche e sulle disgregazioni del nostro tempo. «Torna attuale il confronto con una cultura che invece esalta l’autonomia e l’autodeterminazione, non come esiti di un processo di assunzione di responsabilità ma come premesse di una rottura di legami con l’altro – l’umano e il divino poco importa –, visto non come colui che ci accompagna ma come un limite che ci ostacola. Non possiamo poi piangere disgregazione sociale e lacerazioni dei rapporti interpersonali se lasciamo credere a tutti, in particolare alle nuove generazioni, che l’affermazione di sé contro l’altro e non la costruzione delle relazioni debba essere il nostro obiettivo. Per poi giungere alla mistificazione con cui le istituzioni europee parlano di aborto e cercano di convincerci che una tragedia si debba trasformare in un diritto. Siamo di fronte a una cultura e a progetti di legislazione che come cristiani non possiamo accettare e che dobbiamo contrastare in ogni sede, senza paura di ribadire che la vita è sempre un dono».
Il cardinale Betori ha poi rivolto uno pensiero alla città: «Ritrovare coesione e slancio per il futuro non è possibile senza uno sguardo verso l’alto, senza il riconoscimento di un legame con una presenza che ci dà fondamento, che i credenti chiamano Dio e chi non crede deve pur sentire come la dimensione trascendente che ci costituisce nella nostra umanità. Se non siamo cose o solo esseri animati, ma persone è perché in noi abita questa tensione verso un oltre che ci attrae e dà sicura giustizia e fondata speranza alle nostre aspirazioni. Per questo siamo chiamati a lottare contro il greve materialismo che ci vincola alle misure della quantità e del costo delle cose. Vale per la vita personale e sociale, anche per quella economica».