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giovedì 27 marzo 2025
 
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Quelle "indigestioni" davanti agli schermi

14/12/2018  Lo psicoanalista Luigi Ballerini è l'autore di "Né dinosauri né ingenui" (Edizioni San Paolo). Offre consiglia ai genitori per gestire la "rivoluzione"  della Tv on demand e del fenomeno del "binge watching" cioè guardare una serie televisiva episodio dopo episodio fino all'esaurimento

Tra le nuove abitudini di tante famiglie italiane, anche dal punto di vista televisivo, c’è senza dubbio la Tv non più soltanto “passiva”, nella quale il palinsesto è un’offerta preconfezionata, dove l’unica variabile è il telecomando, ma diventa una fruizione personalizzata, su misura, in cui ciascuno si crea la propria scaletta: sceglie che cosa guardare, dove e quando. Tutto questo è possibile grazie alla televisione via
web, che arriva sulle Smart tv, cioè quelle collegate a Intrnet, ma anche sui pc, sui tablet e su smartphone con display sempre più larghi come pollici. L’offerta è ampia: Chili, Infinity, TimVision, ma il player più forte è senza dubbio Netflix.

Sull’argomento, che porta con sé nuove opportunità, anche culturali, ma pure alcuni rischi di “dipendenza”, abbiamo sentito il parere di Luigi Ballerini, medico, psicoanalista, scrittore, sposato, padre di quattro figli, autore di un libro appena pubblicato dalle Edizioni San Paolo - Né dinosauri né ingenui. Educare i figli nell’era digitale - rivolto a genitori ed educatori, per avvicinare la tecnologia dal punto di vista pedagogico.

Dottor Ballerini, i ragazzi che si siedono sul divano con i genitori per vedere una serie su Netflix, e poi proseguono su uno smartphone, magari da soli, nella loro cameretta, sdraiati al buio sul letto con un display illuminato a 10 centimetri dagli occhi, di pomeriggio, di sera, o di notte (tanto papà e mamma dormono), sono ancora “educabili”? O grazie a queste tecnologie la partita è persa per sempre?
    «La televisione così come l’abbiamo vissuta noi adulti non esiste più per i giovani. È un mezzo obsoleto, che tendenzialmente si usa giusto in famiglia in occasione di una visione condivisa. Per questo ora si preferisce parlare di “screen time”, ossia del tempo globale che passiamo davanti a tutti gli schermi della nostra vita (tv, pc, smartphone, tablet, consolle), tempo che può essere considerevole per grandi e piccoli. Non siamo più noi infatti che ci mettiamo davanti allo schermo, ma è lo schermo che viene davanti a noi: possiamo averne uno con noi sempre e ovunque. A seconda dell’età dobbiamo quindi porre dei limiti a questo uso, ad esempio è buona norma che il cellulare di notte resti spento e non nella stanza. Conviene pertanto non considerare la partita persa per sempre, ma aiutare i più giovani, non solo con le regole, a usare bene degli schermi».

Rispetto ai tempi di papà e mamma, quando la Tv era immodificabile, potevi solo cambiare canale, queste Tv via web che si fruiscono quando, come e dove vogliamo, sono un’esperienza in più per i ragazzi, un grado di libertà superiore, o rischiano di svuotare i loro spazi mentali in modo non controllato o incontrollabile?
   «La mia generazione è cresciuta con la “tivù dei ragazzi”: i programmi iniziavano
 alle cinque del pomeriggio e tutti vedevamo lo stesso sceneggiato o cartone. Oggi non è più così, e non è detto che sia un male. La scelta è vastissima, i contenuti estremamente diversificati, la fruizione continua: ciascuno può davvero trovare ciò che più piace e interessa. Inoltre i giovani, abbandonando la televisione per passare ai dispositivi mobili, guardano quello che vogliono senza che i genitori possano davvero avere un controllo totale. L’offerta che trovano è ricca, nel bene e nel male. Le occasioni di conoscenza, di informazione, di acculturamento e di svago sono a portata di click. Come adulti conviene che innanzitutto li aiutiamo a vivere la realtà nella sua pienezza, favorendo ad esempio i rapporti con persone vere, le uscite, le esperienze reali. E poi dovremmo provare a formare un gusto estetico cui possano attingere quando da soli dovranno scegliere i diversi programmi on line. Quindi l’aspetto educativo è sempre più centrale».
 

Se un figlio grazie a Netflix (ma non solo lui, spesso tutta la famiglia) può guardare una serie Tv avvincente senza interruzioni, senza l’attesa della tv generalista, 3-4-5 puntate di seguito, perdendo concentrazione sullo studio, occasioni di movimento e di sport, accendendo un mini tablet in qualsiasi parte della città, durante l’anno o in vacanza, come gli spieghiamo che perde il senso della misura? Oppure ci arrendiamo perché è semplicemente una nuova “civiltà”?

    «Il problema nasce non quando si guarda tanto una serie o uno schermo, ma quando il reale si impoverisce. È il caso in cui si frequentano meno gli amici, si mollano gli interessi, non si pratica più uno sport, i risultati a scuola declinano per stare attaccati a uno o più schermi. Il cosiddetto “binge watching” ossia il guardare una serie tv episodio dopo episodio fino all’esaurimento è una tentazione reale. Il sistema stesso lo favorisce facendo iniziare l’episodio successivo prima ancora che sia terminato il precedente. Dobbiamo pertanto vigilare affinché il controllo resti nelle mani nostre e dei nostri figli. Siamo noi che dobbiamo governare la tecnologia, non farci governare da lei. Quindi, se con i più piccoli tocca a noi porre un limite, con i più grandi è nostro compito aiutarli a tenere aperto lo sguardo, a ricordare, soprattutto con la nostra vita, che il mondo reale è sempre più interessante e affascinante di quello fatto di pixel. C’è tempo per tutto nella giornata. “Anche” per una serie tv. Non, “solo”».

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