C’è multa e multa. Quella comminata a quattro bambini dai 5 agli 8 anni l’altro giorno a Malo, comune del Vicentino, perché giocavano a pallone nel parco pubblico di quartiere, davanti al cartello di divieto, ha l’amaro sapore dell’eccessivo. Un po' come, per rimanere in tema, un cartellino “rosso” al posto di un “giallo”. Eccessivo un po’ per la cifra: 150 euro, per aver sollevato un po’ di polvere e schiamazzato disturbando il vicinato; ma soprattutto per la cosa in se’.
E’ fuori discussione la legittimità della sanzione: è stato violato un divieto, quindi la multa è giusta. E chissà quante altre per lo stesso motivo sono state staccate dal blocco del vigile zelante. Perché, diciamolo, in tanti altri Comuni d’Italia, più piccoli o più grandi di Malo, si trovano divieti del genere oppure cartelli con la palla sbarrata nelle aree verdi o nelle piazze del centro. Ma ce ne sono altri, pochissimi ancora, che hanno capovolto il messaggio e, come a Vercana, in provincia di Como, hanno affisso un cartello con su scritto: “Attenzione, rallentare. In questo paese i bambini giocano ancora per strada”. Con tanto di figurina con bimbi che giocano al pallone. Un invito a dare la precedenza al gioco rispetto alla velocità. Un messaggio che vuole, nel suo piccolo, rimettere a posto certi valori e dire che almeno lì c’è qualcosa ancora a “misura di bambino”. L’idea, guardacaso, è stata suggerita da una giovane mamma consigliere comunale.
In effetti la lezione a questi bimbi di Malo, sarebbe incompleta se si fermasse alla “punizione” per aver trasgredito le regole. Il diritto a giocare resta sacrosanto. Pertanto se non posso andare a giocare in quel posto, mettimi in grado di poterne usare un altro. Il sindaco di Malo, e c’è da crederci, ha promesso che si troverà una soluzione, cioè un altro campetto. Intanto in paese c’è stata una mezza sollevazione e sui social s’è scatenata la corsa alla solidarietà nei confronti dei piccoli calciatori multati. E anche dei loro genitori. C’è chi ha perfino proposto una colletta cittadina per pagare la sanzione alle famiglie dei multati.
Ironia della sorte, proprio di Malo era Luigi Meneghello, il grande, indimenticato scrittore, scomparso nel 2007, che al suo paese dedicò pagine memorabili. Proprio lui, infatti, scrisse sul calcio e i calci che da bambino dava a un pallone nei campetti del suo paese. E senza incorrere in multe. “Il gioco del pallone entrava nella nostra vita quando non si era ancora perfetti nell'arte di stare in piedi”, osservava. E ancora: “La squadra che avevo io era fondata sull'esistenza del mio pallone. Come quella di Heidegger l'esistenza del mio pallone partecipava alla natura di un relitto: c'era uno sferoide spelacchiato con molti rigonfiamenti a caso, e la natta deforme sotto gli spaghi. Però era un pallone, un oggetto raro, e attorno ad esso nacque la squadra, con Piaretto centravanti, Savaio in porta, la mediana rinforzata da un paio di sgalmaroni dalla Proa, e qualche amico in ruoli secondari: il resto dei posti mettemmo a concorso”. Parole che toccano le corde della nostalgia e richiamano la bella età della fanciullezza. Perché il pallone è e resta simbolo del gioco infantile. Alzi la mano chi non lo ha mai sperimentato. Trovare un campetto d’erba, improvvisare due porte con qualche maglia appallottolata, o quattro rami, e mettersi a giocare al pallone: una delle esperienze più belle della nostra infanzia, anche se magari uscivi dalla partitella quasi sempre con un pestone al piede o un ginocchio graffiato. E non importano le fattezze del pallone: di cuoio scucito, o troppo leggero perché di plastica, che calciato volava via col vento, o bucato e pesantemente sgonfio. Bastava qualcosa di rotondo, una sfera o qualcosa ci sia avvicinasse, da poter colpire coi piedi o di testa. Niente divise o scarpini coi tacchi, ma solo canotte e qualche albero per segnare trigonometricamente l’area di gioco. E, se c’era un muro di lato, meglio, perché la palla rimbalzando restava sempre in gioco. Insomma: alzi la mano chi non è mai stato bambino.
Il campetto sotto casa è sempre lì, pronto al rito iniziatico, alla sfida infinita con i coetanei del quartiere, la rivincita col compagno di banco secchione in aula ma imbranato sull’erba; è adrenalina e furore, disperazione per un dribbling sbagliato e felicità allo stato puro per un gol su rigore fatto col “cucchiaio”.
E allora, se le chiamano “aree attrezzate”, che le attrezzino davvero per tutto, senza dimenticare il gioco più universale che esista, quello con una palla tra i piedi e il verde e l’azzurro negli occhi.