Le capitali del giornalismo italiano sono, indiscutibilmente, Milano e Roma. Ma la capitale, altrettanto indiscussa, del giornalismo sociale è Capodarco di Fermo, paesino marchigiano, sede dell’omonima comunità di accoglienza presieduta da don Vinicio Albanesi.
Tutto cominciò nel maggio del 1994, quando il “Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza” organizzò in questa cittadina il primo convegno dedicato interamente ai giornalisti sui temi del disagio e della marginalità. Titolo del seminario: “redattore sociale”. Quel primo appuntamento ebbe successo e si decise di ripeterlo ogni anno. Dal 1999 il seminario fu riproposto in forme più brevi anche in altre sei città italiane (Trento, Vicenza, Milano, Roma, Napoli e Palermo). In totale il convegno è arrivato a 42 edizioni, con 6.500 presenze e oltre 500 relatori. Al centro dell’attenzione sempre la cosiddetta “informazione debole” quella che si occupa di dare voce a chi voce non ha.
Nel 2001, da questa originale esperienza formativa nasceva il “Redattore sociale”, il primo network italiano di servizi informativi e di documentazione on line sui temi sociali, che negli anni è diventato prezioso strumento per chiunque voglia occuparsi di welfare, povertà, emergenze sociali. L’attuale notiziario è comopsto da due portali web: redattoresociale.it, gratuito, e agenzia.redattoresociale.it in abbonamento per la stampa.
A vent’anni di distanza un libro ricorda temi, contenuti e protagonisti di questo “itinerario formativo permanente”. S’intitola “Raccontare come va il viaggio” e raccoglie 230 citazioni di giornalisti intervenuti ai seminari per spiegare come fare un giornalismo che sia “antidoto all’indifferenza”. Una raccolta di appunti di viaggio utili a chi svolge la professione del giornalista.
“L’intuizione di Redattore sociale – scrive nella prefazione don Vinicio Albanesi – è nata da molte esigenze di chi era immerso, già da anni, nel mondo del sociale. La prima esigenza nasceva dal verificare se ciò che si stava vivendo in comunità era corretto. La conoscenza di altre storie non poteva che far bene a chi tentava di cambiare il modo di fare welfare. Inoltre era importante comunicare ciò che si era sperimentato: non in modo narciso e ripetitivo, ma mettendo a fuoco i mondi complessi della vita sociale. Infine era indispensabile saper comunicare quanto vissuto. Prima di tutto a se stessi, ma anche ai mondi vicini alle proprie esperienze, alle amministrazioni e infine a semplici lettori e ascoltatori”.
don Vinicio Albanesi
“L’obiettivo principale era, e resta”, spiega Stefano Trasatti, direttore del “Redattore sociale”, favorire un dialogo maturo tra due parti (i giornalisti e il “mondo del sociale”) che si parlano poco e male, che usano troppo spesso il solo registro della retorica compasionevole, e che si stimano o si legittimano ben poco a vicenda”.
Ciò che emerge, rileggendo i programmi delle 42 edizioni, è il costante “appello all’approfondimento e allo studio, l’esortazione a entrare dentro le storie, senza averne paura; l’invito a non perdere mai la capacità di meravigliarsi e all’ ascolto reciproco perché l’autoreferenzialità uccide sia il giornalismo che l’azione degli operatori sociali”. L’esperienza ventennale di Capodarco è la migliore riprova di quanto affermò epigraficamente una volta il grande inviato e scrittore polacco Ryszard Kapuscinski: “Il cinico non è adatto a questo mestiere”.