“Rivoglio la lira, costi quel che costi. Lo so, magari sono un sognatore, ma voglio la lira. Rivoglio il sabato sera con in tasca 10 mila, per birra, pizza e caffè. Rivoglio il mezzo pieno alla mia vecchia Renault con 20 mila di gasolio. Rivoglio il caffè a mille lire”. Ragazzi è una cosa pazzesca. Sapete chi spara una tavanata del genere? Beppe Grillo. Sì proprio lui, lo spauracchio dei partiti, il Gran Modernizzatore, il messia delle autostrade digitali, l’uomo che alle prossime elezioni politiche, dopo aver trionfato alla Camera, eviterà di trasformare quell’aula sorda e grigia in un bivacco di Monopoli e andrà da Napolitano, al Quirinale, per dirgli, come ha preconizzato in un'intervista a Travaglio: "l’hai sentito ora il boom?".
Facile di questi tempi aver nostalgia della lira, nel momento più difficile della costruzione europea, quando tutti, da Soros alla Lagarde, dalla Merkel a Monti, ci dicono che vivremo giorni cruciali e difficili. E noi fratelli d’Italia che facciamo? Scendiamo in piazza per l'Europa? Ma siamo matti? Come al solito, ci prepariamo ad andare in soccorso del vincitore. Per “stringerci a coorte” bastano i goal di Fantantonio e Supermario. Siamo tutti ct, ma possiamo diventare tutti economisti. Come nei governi della Prima Repubblica, se c’è un problema di export basterà indebolire la nostra liretta. Che ci vuole? Svalutate, svalutate, qualche cosa resterà. Incuranti del fatto che se non esportiamo abbastanza è per altre cause. Che prima o poi vengono a galla: costo del lavoro, pressione fiscale alle stelle, carenza di infrastrutture, burocrazia eccessiva. Ma non c’è solo Grillo nel club della liretta. Il professor Paolo Savona, che in campo accademico è un’autorità, ha un curriculum sterminato ed è stato ministro dell’Industria con Ciampi, la sollecita da mesi: “Vogliamo davvero restare al capezzale del continente masticando allegramente hot dogs?”. Per l’economista Savona “urge un Piano B”. Dove non si capisce se B stia per Silvio Berlusconi.
Anche il Cavaliere, infatti, sembra essersi riconvertito alla lira. Qualche segnale a titolo esplorativo lo aveva dato con la sua “pazza idea” del conio in Italia dell’euro, che per la verità nessuno ha capito. Ultimamente si è spinto oltre: “A questo punto mi chiedo se per l’Italia non sia meglio tornare alla lira”. Una proposta che sa tanto di campagna elettorale, in un Paese dove tra astenuti, grillini e antipolitici arriviamo al sessanta per cento. Pare che fosse pronto a scattare già domenica scorsa, se le elezioni in Grecia avessero consegnato il Paese agli euroscettici di Alexis Tsipras. Quello che piace tanto alla sinistra radicale italiana. Del resto le memorie classiche, culla della civiltà, sono sempre fatali e paradigmatiche. Cantami o diva, “lira funesta”, che infiniti addusse lutti alle importazioni e ai capitali italiani.
C’è anche la Lega, in questo club della liretta, specie ora che è tornata all’opposizione. Prima che andasse al Governo (coi bei risultati in campo economico che il povero Monti cerca di sanare) Pontida si trasformava in una succursale della lira, mentre l’euro era “una moneta da pazzi” e si inventavano le banconote da uno o due “neuri”, con visioni padane che sognavano monete celtiche, copechi, “Il Padano”, persino “L’Umberto” e il “Calderolo” (è venuto oggi il momento del “Marono” o del “Toso”?). L’allora ministro dell’Economia, Giulio Colbert Tremonti, centauro politico metà berlusconiano e metà leghista, guardava quei discoli e sorrideva. E intanto, si scopre, tra un Eurogruppo e un G-8 metteva anche lui nel cassetto un Piano B di uscita dall’euro, non si sa mai. E così che, ridendo e scherzando, siamo finiti sull’orlo del baratro e in preda alla speculazione internazionale. Ma l’Italia ha la memoria corta. Il club della lira si ingrossa giorno dopo giorno, e si ingrosserà ancor di più se l’euro cadrà ancor più in disgrazia. Quale migliore funzione catartica per riciclarsi nel demi-monde della liretta? Anche se il ritorno alla lira porterebbe a una svalutazione che per gli ottimisti sarà del 20 per cento, per i pessimisti del 70, accenderebbe un’inflazione a due cifre e forse un giorno ci farà avere in dote banconote weimeriane da un milione come quelle del signor Bonaventura. Inoltre la lira innescherebbe una fuga devastante di capitali con conseguenze sulla disoccupazione imponderabili, facendo esplodere il debito pubblico, magari portandoci all’incendio della bancarotta. Eccola la pazza idea. Ammireremo Roma in fiamme, mentre torneremo a suonare la lira, come Nerone, anzi Neurone.