Folle di gente esausta che marcia a piedi verso la terra promessa. Bivacchi di disperati alle stazioni e nelle piazze in attesa di essere lasciati passare. Corpi senza vita di bambini innocenti sulle spiagge... Chi crede che si tratti di un fenomeno transitorio, destinato a spegnersi nei prossimi mesi, magari quando le bella stagione sarà passata, si sbaglia di grosso: per la semplice ragione che stiamo assistendo a un'emergenza planetaria che durerà ancora a lungo, addirittura venti anni, una generazione intera...
A dirlo non è un'organizzazione umanitaria, ma un militare, forse il più potente della terra: il generale Martin Dempsey, capo degli Stati maggiori riuniti del Pentagono. "In giro per il mondo ci sono 60 milioni di profughi, ogni giorno 62 famiglie fuggono dalla loro terra, come certifica l'Onu: è un'emergenza impossibile da risolvere in breve tempo. Sono problemi generazionali che ci trascineremo per vent'anni: dobbiamo organizzarci creando un sistema sostenibile di destinazione di risorse a favore di questi profughi", sono le sue parole.
Colpisce che un'analisi così lucida e dura venga da un militare. E naturalmente qualcuno potrebbe ricordare che è comunque facile per gli Stati Uniti, che osservano da lontano, emettere sentenze e chiamare alla pianificazione e alla solidarietà. Vero, come resta tuttavia drammaticamente vera la sua analisi. Deve essere chiaro a tutti, ai politici dell'Unione europea anzitutto, che gli imponenti flussi migratori di questi giorni non sono destinati a esaurirsi nelle prossime settimane, né nei prossimi mesi, né nei prossimi anni. Questo è il dato da cui la politica deve partire.
E invece, che cosa sta accadendo? Che l'Europa si sta spaccando. Mentre "finalmente" Germania e Austria hanno aperto le porte, i britannici e i Paesi dell'Est, con i Paesi scandinavi in una posizione moderata, chiudono le porte. I vari Paesi litigano sulla ripartizione die profughi. E continuiamo a gestire le richieste dei profughi con uno strumento evidentemente inadeguato, qual è il diritto d'asilo come è concepito oggi, che lascia al caso la gestione del problema.
Non c'è dubbio che la questione, nella sua enorme complessità, non va gestita soltanto dal lato degli arrivi e dell'accoglienza, ma anche da quello dell'intervento diretto sui Paesi da cui prende avvio la marcia, per rimuovere le cause che inducono queste masse a rischiare la vita per fuggire in un'altra terra. "In Siria c'è la guerra, se eliminate la guerra dalla Siria noi restiamo nel nostro Paese", diceva con disarmante semplicità un ragazzino intervistato alla Tv. E qui rientrano in gioco gli Stati Uniti, l'Onu, i Paesi arabi... Da questo punto di vista, il mondo è ancora più in ritardo, manca una qualsivoglia politica globale. Basti pensare come è stato gestito il caso Siria-Assad...
Bisogna dunque agire in una dimensione internazionale, con una strategia globale e di lungo termine, ma nel frattempo l'Europa non può tirarsi indietro, non deve spaccarsi in due fra generosi ed egoisti, fra Paesi esposti agli arrivi e Paesi che si chiamano fuori perché sono isolati e lontani. Non può essere rinviata una revisione del diritto d'asilo.
L'Europa è chiamata a diventare un'entità e un'unità politica in fretta. La marcia è cominciata e - come ricorda il Pentagono - durerà ancora molto a lungo.