Mauro Santopietro, l’attore dello spot Esselunga così discusso in questi giorni in onda su tutte le reti nazionali da lunedì 25 settembre, è travolto dai meme. La rete si è scatenata scimiottando il contenuto della pubblicità cosiddetta “della pesca”. “Pesche per divorziati a 2.99”per citare uno dei tanti. Ed è un susseguirsi di immaginette perché lo spot ha fatto centro e ha smosso gli animi. Lo raggiungiamo a Roma dove vive ed è in procinto di tornare in scena con Il mercante di Venezia di William Shakespeare, regia di Loredana Scaramella, al teatro Olimpico dal 10 al 15 ottobre.
Perché ha accettato di girare questa pubblicità?
«Ho accettato questo lavoro valutando la proposta da attore, senza aggiungere giudizi, perché è nella nostra professionalità raccontare storie, lasciarle vivere. Mi sono divertito, mi è piaciuto farlo e mi ha regalato dei momenti professionali e umani molto belli».
Una storia divisiva che ha scaldato gli animi a cui si imputa di schierarsi per un certo modello di famiglia e contro un altro.
«È una storia che ha creato spaccature, ma anche questo è il risultato di un prodotto mirato e ben scritto che non voleva prendere posizione su una certa idea di famiglia o su un’altra. Ma raccontare come “tutte le spese sono importanti”. Ecco perché lo spot è girato con una soggettiva, quella di una bambina che sembra triste ma che, in realtà, sta cercando di far riappacificare i genitori con una pesca, semplicemente un frutto».
Uno spot che ha per protagonisti i bambini.
«Che sono i veri legittimati a dare l’esempio; la forza, il respiro e la spinta a un processo di inclusione che altro non è che il diritto alla felicità. Allora sì, quella bimba ha il diritto di essere felice e per esserlo vuole che i suoi genitori non litighino più. Che abbiano un rapporto mamma e papà. Tentativi raccontati con una semplicità disarmante».
Questo voleva raccontare la pubblicità?
«La pubblicità è un prodotto culturale legato al mercato; ma la cultura non deve essere una palestra di giudizio, bensì un’occasione per allenare il pensiero, le riflessioni, l’occasione per capire le cose. Sennò diventa impossibile fare pubblicità. Il dibattito sui social è disarmante perché lo spot in sé e per sé non prende una posizione netta e marcata. Ma questo purtroppo è il magico mondo della rete. L’altra cosa che mi ha fatto riflettere è che le persone cerchino risposte in una pubblicità, mentre andrebbero cercate in un altro spazio che non è quello di due minuti di spot. Ma quello politico e civico, non certo una storia artistica. Sennò diventa riduttivo del target stesso, che sia una famiglia allargata, tradizionale o altro. Qui si parla della famiglia ed è importante che se discuta».
Complimenti agli autori verrebbe da dire.
«Gli autori sono stati bravi a scoperchiare un nervo scoperto perché le persone che si sono sentite provocate evidentemente non trovano risposte altrove».
Se lo aspettava un clamore di questo tipo?
«Quando l’ho girato assolutamente no. Men che meno di diventare un meme. Sto facendo la collezione. Sono delle cose che mi fanno sorridere, da un lato, e riflettere dall’altro, ma io ho fatto solo il mio mestiere ovvero l’attore. Quindi rispetto e assenza di giudizio. Non va schiacciata la narrazione verso il vicolo cieco dell’assenza di possibilità di moltiplicare le vedute e la soggettiva. Tenendo, poi, sempre presente che è una pubblicità. La grande presa di posizione è stata di farla durare 2 minuti. Quello è un grande atto di rispetto per la tematica affrontata».
Che esperienza ha vissuto lei come figlio?
«Sono figlio di una famiglia tradizionale. L’insegnamento migliore che mi hanno dato i miei è di andare avanti superando le difficoltà senza perdersi mai d’animo. Conosco tante coppie che stanno vivendo questa esperienza perché ormai, oggi come oggi, il divorzio è una possibilità diffusa tra chi non va più d’accordo. La cosa bella è vedere che, nonostante ciò, hanno ritrovato una nuova possibilità di essere genitori insieme per la serenità dei figli».