La campagna per avere più donne in Parlamento (ansa).
La bocciatura alle "quote rosa" nella legge elettorale Italicum, avvenuta alla Camera con voto segreto, aveva scatenato le ire di molte parlamentari donne senza differenze tra destra, sinistra e centro. Ora l'approvazione da parte del Senato del disegno di legge che invece le riconosce per il voto europeo a partire dal 2019, e con una norma transitoria sulle preferenze le fissa intorno al 30 per cento già per la consultazione europea di maggio, solleva qualche ottimismo tra le nostre politiche e tra i loro colleghi uomini che ne condividono l'impostazione.
Da più di un ventennio si dibatte sull'opportunità o no di riservare per legge una quota alle donne ai massimi livelli della politica, cioè in Parlamento. Soprattutto in passato, anche tante rappresentanti del sesso femminile si erano dette contrarie a una cosiddetta "legge panda", come se riguardasse una minoranza da proteggere perchè incapace di farsi avanti solo attraverso il merito. In realtà, molte società occidentali hanno stabilito all'inizio quote femminili per favorire un avanzamento delle donne nelle stanze dei bottoni, che riflettessero i loro ruoli mutati nella società. Non si scardinano culture e assetti di potere antichi di secoli e di millenni se non si creano leggi adeguate.
Un esempio eclatante è rappresentato dal Rwanda: nel 2003 la nuova Costituzione stabilì un sistema di quote per le donne nei posti decisionali dello Stato e oggi il Parlamento rwandese ha la percentuale femminile più alta del mondo, il 63,8%. La sempre citata Svezia viene solo al quarto posto e l'Italia al trentunesimo. Non si tratta di credere che un maggior potere "rosa" sia l'indicatore automatico del livello di civiltà di un paese. Ma uno dei suoi indicatori, sì.
Innanzi tutto, le donne rappresentano metà degli elettori, studiano quanto gli uomini e spesso riescono meglio negli studi. Davvero pensiamo che siano poche quelle abbastanza preparate da potersi assumere decisioni e responsabilità politiche? Inoltre, allargare la scelta della classe dirigente all'universo femminile significa pescare in un vivaio più ampio di talenti. E poi, riconosciamo una volta in più che il sistema italiano, a tutti i livelli, è tutt'altro che meritocratico, inquinato com'è da nepotismi, cooptazioni, rincorse affannose dei posti di potere che premiano i più spregiudicati, non i più meritevoli. Altrimenti non ci troveremmo tutte le settimane, come invece succede, a digerire qualche nuovo scandalo di mala-politica che sia locale, regionale o nazionale.
Le donne sono un soggetto nuovo sulla scena della storia e anche del potere politico, forse meno inquinate dalle sue pratiche più cristallizzate. Dare loro maggiore rappresentanza potrebbe persino favorire un livello più elevato di moralità pubblica.