di Francesco Belletti *
La proposta di sostituire l’ISEE con il modello francese del quoziente familiare per la concessione del “Superbonus edilizia” (ormai ex 110%) ha innescato un vivace dibattito nel mondo politico, purtroppo caratterizzato, per l’ennesima volta, da una forte polarizzazione, spesso ideologica, che rende difficile capire. Vale quindi la pena di proporre qualche sintetica riflessione in merito, senza pretesa di esaurire ogni possibile argomento, ma con l’obiettivo di fare chiarezza.
Prima di tutto è fondamentale riconoscere che tuttora il nostro sistema fiscale fa fatica a riconoscere la famiglia e a riconoscerne il peso reale. Moltissimi interventi di sostegno pubblico sono indifferenti ai carichi familiari, e il “costo dei figli” è considerato in modo molto limitato. Ricordo solo che l’assegno unico universale – misura innovativa e assolutamente positiva, introdotta solo nel 2022- prevede un contributo alla famiglia di Euro 175 al mese per figlio, mentre il costo del figlio alla nascita è stato stimato attorno ai 645 Euro mensili (media nazionale, dati Neodemos 2021). Altro esempio: a novembre 2022 a tutti i lavoratori dipendenti che avevano in tale mese un imponibile inferiore a 1538 Euro è arrivato in busta paga un contributo una tantum di Euro 150 (Decreto del 23 settembre 2022, ancora Governo Draghi). Risorse preziose, in tempo di crisi: ma nessuno si è preoccupato di domandarsi se di quel sussidio abbia beneficiato una persona che vive sola, un giovane che vive con i propri genitori, o una capofamiglia che deve mantenere due o tre figli. Fa una bella differenza, no? Perché tutti uguali, in questo caso?
Rispetto al Superbonus, poi - seconda riflessione - conviene ricordare che il modello precedente di Superbonus era totalmente indifferente al reddito, e questo è stato oggettivamente sbagliato: il sostegno pubblico è andato indifferentemente a ricchi e poveri, senza fare alcuna distinzione, senza chiedere né ISEE, né dichiarazione dei redditi, né qualsiasi altra misurazione del reddito, né individuale né familiare. Non è certo la prima volta che accade: gli incentivi per rottamazione auto, ad esempio, mai sono stati erogati “solo” ai redditi più bassi, ma sono andati a chiunque, anche a chi rottamava una macchina di lusso per acquistare un’altra supercar. Magari c’era il vincolo “green” (giustamente, per incentivare l’acquisto di un modello più ecologico): ma per ricchi e poveri, indistintamente.
Quindi è fondamentale – terza riflessione - mettere insieme equità verticale (sostenere prima di tutto chi ha redditi minori) ed equità orizzontale (valutare i carichi familiari), perché a parità di reddito vivere in due adulti o in cinque persone fa una bella differenza, soprattutto se tra i cinque ci sono tre figli piccoli da allevare, educare, proteggere e far crescere, per tanti anni. Rispetto alla necessaria rivisitazione del Superbonus, appare certamente ragionevole – e doveroso, potremmo anche aggiungere - selezionare la platea dei destinatari dando priorità alle famiglie con redditi più bassi, ma è altrettanto doveroso misurare la ricchezza delle famiglie in funzione dei carichi familiari. Ma per questo non basta applicare l’ISEE? Perché introdurre il quoziente familiare alla francese?
A questo riguardo – quarta riflessione – conviene ricordare che sia l’ISEE che il quoziente familiare sono “unità di misura” dello stesso fenomeno – i carichi familiari, ma scegliere l’uno o l’altro è una scelta sia tecnica che politica. In altre parole, occorre domandarsi quale delle due misure è più adeguata a leggere il costo della famiglia e dei vari membri, e poi capire con quali ulteriori criteri decidere. Ricordiamo che l’ISEE è uno strumento relativamente nuovo (fu approvato nel 2013), è una sua rivisitazione è auspicata non solo dai suoi detrattori, ma anche da chi lo ha introdotto. Di fatto si discute il peso specifico del valore “casa”, che spesso taglia fuori dall’accesso ai servizi famiglie ricche solo della casa in cui abitano; oppure ci si interroga sulla veridicità di tante certificazioni (più il sistema complesso, più è facile ingannarlo); o ancora – e questa è l’argomentazione qui più pertinente – l’ISEE si è dimostrato estremamente avaro nel pesare i carichi familiari, in quanto pesa in modo decrescente i figli dal terzo in poi (0,42 e poi 0,35). Non è solo questione teorica di numeri e di algoritmi, discussione tra specialisti, scontro politico-amministrativo. Come emerge – ad esempio - da tutti i report sui destinatari del reddito di cittadinanza (che usa l’ISEE), molte famiglie numerose rimangono escluse, e il RdC arriva così soprattutto a persone sole o a coppie, mentre la percentuale di minori che vivono sotto la soglia di povertà in famiglie con tre o più figli continua a crescere – ed è tra le più alte a livello europeo. Qualcosa quindi non funziona nell’ISEE, mi pare chiaro: vogliamo fargli almeno un bel tagliando?
In questa prospettiva – in conclusione – l’idea di iniziare a sperimentare uno strumento diverso di misura dell’equità familiare appare sicuramente interessante. Verificare l’efficacia del quoziente familiare su un intervento specifico (come il Superbonus, e solo nelle situazioni con famiglie/abitazioni singole, evidentemente) appare un giusto percorso: così si può controllare il suo impatto familiare, e la sua efficacia come misura del peso reale della famiglia, e una sua eventuale ulteriore applicazione più ampia. Certamente il quoziente familiare “alla francese” è più favorevole per chi ha carichi familiari: i primi due figli vengono pesati 0,5 (già meglio, rispetto al peso attribuito dall’ISEE), e dal terzo figlio in su ogni figlio pesa 1 (come un adulto). E qui emerge il vero punto di discussione, su cui il nostro Paese deve prendere assoluta consapevolezza. La misura del quoziente familiare francese non è puramente econometrica, ma è “politica”: tende a premiare le famiglie “dal terzo figlio in su”, ed è esplicitamente orientata a promuovere la natalità. Ora, forse è questo il punto cruciale, in questo dibattito, al di là dei problemi “tecnici”: quali politiche vuole adottare il nostro Paese rispetto alla natalità e al sostegno alle nuove generazioni? Se vuole promuovere le nascite, non c’è dubbio che debba scegliere il quoziente: se invece vuole restare inerte, nel progressivo crollo demografico della natalità, allora l’ISEE va benissimo. Dal nostro punto di vista, la scelta è facile: investire sulla famiglia e sulla natalità (e quindi adottare il quoziente) è investire sul futuro del Paese, è una delle strategie essenziali per la resilienza della nostra società, e per qualsiasi Piano di ripresa economica e del Paese - cioè per un PNRR non solo economico o burocratico, ma di sviluppo a tutto tondo dell’intera comunità nazionale. Ma è una scelta strategica che va preso subito, senza se e senza ma.
*Centro internazionale studi famiglia