Le parole durissime, inequivocabili, vibranti come quelle di Gesù nel tempio di papa Francesco contro il “potere insanguinato” dei mafiosi scuoteranno il nostro Paese, ma non sono una rivoluzione. Nel senso che si inseriscono perfettamente nel solco dei precedenti pontefici. A cominciare dalle parole di Giovanni Paolo II contro i mafiosi, risuonate nella valle dei templi di Agrigento, durante il suo viaggio in Sicilia del 1993. Pochi mesi dopo Agrigento (e non senza collegamento con Agrigento) la mafia ha ucciso don Pino Puglisi a Palermo e don Peppino Diana a Casal di Principe». Padre Pino Puglisi viene proclamato beato e martire della fede (dunque ucciso dai mafiosi non per accidens, ma proprio in quanto discepolo di Cristo e suo apostolo) e, pochi giorni dopo, l’arcivescovo di Agrigento nega il funerale liturgico al cadavere di un mafioso (compiendo un gesto apparentemente logico, ma storicamente inedito).
Si va così verso lo scioglimento di equivoci secolari: anche i mafiosi hanno un proprio Dio, ma non coincide per nulla con il Dio dei cattolici. Se i mafiosi vogliono ritrovare il vero Dio, devono convertirsi. Ma se il grido di papa Wojtyla ha colpito l’opinione pubblica nazionale e internazionale, pochi hanno messo in risalto le parole chiare, lucide e durissime contro la camorra del suo successore Benedetto XVI durante la sua visita a Napoli nell’ottobre del 2007. Anche le parole del pontefice tedesco e quelle dell’arcivescovo di Napoli Sepe pronunciate in piazza del Plebiscito sono state profetiche e forti. Storiche, ci verrebbe voglia di definirle, perché segnano un’epoca in cui la città sembra davvero in ginocchio tra criminalità, problemi sociali, episodi di malgoverno e immondizia che tracima dai cassonetti.
Ma Benedetto XVI è il Papa della parola. La sua colpa è quella di essere per natura pacato anche quando pronuncia affermazioni durissime e inequivocabili. A Napoli la Chiesa è in trincea contro la camorra, «in prima fila» rappresenta l’istituzione più impegnata insieme con la magistratura e le forze dell’ordine nello sradicare il male storico della città, quella «Gomorra» che con i suoi 150 clan detta legge in tutta la provincia. A Napoli la Chiesa è spesso l’ultimo baluardo che resta a difendere i quartieri di fronte alla latitanza delle istituzioni. A Napoli la Chiesa è denuncia, protezione, difesa dalle prevaricazioni, speranza in un futuro migliore. Gesti e parole forti che si sposano perfettamente con quelle di Benedetto XVI, contro la camorra, parola pronunciata più volte senza mezzi termini, nel corso della sua visita nella città partenopea. Una Chiesa schierata e profetica, che chiede ai suoi figli di entrare nel sociale e in politica, perché sa che da sola non può farcela. Sarà certamente lievito, speranza, spesso solidarietà e accoglienza, come fa nei cento convitti e nei doposcuola per bambini in difficoltà, anche se non può fermare e sradicare da sola da mali secolari.
C’è una sequenza che non si dimentica nel film di Roberto Faenza, Alla luce del sole, dedicato a padre Pino Puglisi, il sacerdote palermitano assassinato dalla mafia il 15 settembre 1993 proclamato beato per il suo martirio. È la scena della processione vespertina: un don Puglisi, interpretato da Luca Zingaretti, spaurito ma risoluto guida armato di megafono un corteo di bambini e ragazzi per le vie di Brancaccio, la sua parrocchia, sotto una pioggia di mortaretti e fuochi d’artificio sparati minacciosamente dai mafiosi per la festa del santo patrono. Un tamburino scandisce i passi di quel battaglione di giusti che avanza nella solitudine della borgata. I ragazzi, la fede, la processione come spartiacque della coerenza, senza «mammasantissima» a portare la statua del santo, a prezzo dell’isolamento, che a Palermo può diventare fatale. In quella processione c’è tutto il senso della Chiesa autentica, votata alla diffusione del Vangelo, anche a prezzo del martirio. La Chiesa di don Diana, di padre Puglisi, la Chiesa di monsignor Riboldi, di monsignor Bregantini, di monsignor Mogavero, di tanti sacerdoti e religiosi del Sud. La Chiesa di Giovanni Paolo II, di Benedetto e di Francesco.