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domenica 27 aprile 2025
 
1520-2020
 

Raffaello Sanzio, che cosa sappiamo tra storia vera e leggenda a 500 anni dalla morte

23/09/2020  Come si è formato Raffaello? Sono vere le cose che racconta Vasari? Chi si nasconde dietro i personaggi della Scuola di Atene? Che cosa sappiamo della sua morte? Ecco che cosa abbiamo scoperto

«Nacque adunque Raffaello in Urbino, l’anno 1483 in venerdì santo a ore tre di notte d’un Giovanni Santi, pittore non molto eccellente, ma sì bene uomo di buono ingegno e atto a indirizzare i figlioli per quella buona via che a lui, per mala fortuna sua, non era stata mostra nella sua gioventù». Così Giorgio Vasari, storico dell’arte del Rinascimento, cui dobbiamo le Vite degli artisti, “mise al mondo” Raffaello Sanzio alimentando la prima delle leggende sul conto del Divin maestro passato alla storia come l’Urbinate: quella per cui sarebbe stato figlio d’una modesta arte, mandato giovanissimo a bottega dal Perugino (alias Pietro Vannucci) a Perugia. Oggi l’abilità del padre di Raffaello è stata rivalutata e agli storici pare improbabile che Raffaello fosse andato dal Perugino quando il padre viveva ancora, dunque prima degli undici anni. Non si conosce l’inizio dell’apprendistato ma si ritiene più verosimile che ci sia andato, verso i 12 anni, l’età in cui all’epoca si andava a bottega, quando Santi era già scomparso. Ma si sa che la leggenda della precocità estrema ha spesso fatto breccia nella leggenda dei grandi pittori.

LA PRIMA FIRMA DELL'ALLIEVO CHE SUPERA IL MAESTRO

La prima firma di Raffaello Sanzio pittore autonomo si trova nello Sposalizio della vergine oggi conservato alla Pinacoteca di Brera a Milano, concluso quando il pittore di Urbino aveva 21 anni. Per certi versi una sfida al maestro perché identico per soggetto e impianto al quasi coevo precedente sposalizio della vergine dipinto tra il 1501 e il 1504 dal Perugino. Vasari il primo a ritenere che sia l’opera nella quale l’allievo supera il maestro. Nell’enorme somiglianza, infatti, spiegano i critici, viene fuori anche tutta la grandezza di Raffaello, nel concepire un’opera coesa, che sta un passo avanti, rispetto al maestro, nella storia e nella costruzione dell’architettura e della prospettiva. Raffaello dimostra infatti di avere digerito molto più del Perugino la lezione di Leon Battista Alberti e di Pier Della Francesca autore del trattato in volgare De perspectiva pingendi, proprio sulla tecnica della resa dell’architettura in pittura. Non un caso perché Piero aveva lavorato a Urbino per il duca Federico da Montefeltro e perché a Urbino era nato uno dei dipinti più fascinosi e misteriosi, simbolo universale, della pittura prospettica: la città ideale, di autore ignoto, ma attribuita da alcuni a Laurana, oggi conservata alla Galleria Nazionale delle Marche.

IL DIVIN PITTORE NELLE STANZE DEL PAPA

  

Dal 1508 quando papa Giulio II chiama Raffaello a dirigere il lavoro della decorazione pittorica delle stanze vaticane all’interno di un progetto che è il trionfo della sapienza artistica dell’epoca con Michelangelo ad affrescare la Sistina e Bramante a progettare la nuova San Pietro, un complesso in cui cultura cristiana e umanistico-rinascimentale si fondono in un modo unico al mondo. È lì che Raffaello diventa davvero Raffaello, prima di lui a decorare le stanze c’erano altri pittori: il Sodoma, Bramantino, Lotto, non gli ultimi, ma l’Urbinate arriva il papa licenzia tutti gli altri e gli affida l’intero progetto, è la sua prima grande occasione ufficiale e Raffaello ne trae il meglio. Ha solo 25 anni.

CHI SI NASCONDE NELLA SCUOLA DI ATENE

Del ciclo delle stanze la scuola di Atene è forse l’opera più nota, di sicuro la più “umanistica” nel senso che nelle stanze papali celebra la quintessenza della speculazione umana: la filosofia, intesa come la strada con cui l’uomo può arrivare al bene e a Dio. Non per caso le statue che si trovano nelle nicchie Apollo e Minerva sono i simboli della ragione. I personaggi che rappresentano i filosofi dell’antichità nascondono però un segreto, hanno facce intenzionalmente note: Euclide chinato a disegnare una formula per terra ha le fattezze di Bramante, l’amico che ha introdotto Raffaello al papa. Al centro della scena con la barba bianca un Platone, che riconosciamo dal Timeo il libro che regge in mano, con le sembianze di Leonardo Da Vinci indica il cielo con un dito a un Aristotele che ha il volto di Bastiano da Sangallo. Non sono le uniche sembianze nascoste. Al centro pensoso un Michelangelo/Eraclito ha fattezze statuarie che fanno il verso alle figure michelangiolesche ed è l’unico con gli stivali. Leggenda vuole infatti che il Buonarroti non li levasse mai. Non manca l’autoritratto, che un’abitudine dell’epoca tendeva a inserire nelle opere con tanti personaggi: nel Giudizio universale, per dire, Michelangelo riservò per sé il volto della pelle di San Bartolomeo scuoiato. Anche nella Scuola di Atene sbuca, nel penultimo personaggio a destra, una testolina di Raffaello Sanzio.

ANGIOLETTI SUPERSTAR

  

Eppure c’è un’opera che più di tutte, anche al di là delle intenzioni, ha tramandato nel mondo l’opera di Raffaello Sanzio andando oltre ogni attesa: è la Madonna sistina, anzi un suo particolare, gli angioletti arruffati e annoiati che si appoggiano sulla nuvola in primo piano quasi fosse una balaustra: la loro fortuna è stata straordinaria, sono finiti nella pubblicità, nell’arte pop di Andy Warrol, sulle tazze e sulle magliette, anche trasfigurati, perché non sono in pochi a ritenere che, rivisitati con occhiali sole da Italo Lupi, avrebbero ispirato anche il logo di Fiorucci, ma in un’altra troppo diversa vita. Lo stesso Sanzio, del resto, qualche anno fa, con il calembour di Rapanello Sanzio s’è trovato protagonista di una fortunata campagna pubblicitaria dello studio Armando Testa. Segno che è diventato una star imperitura, cosa che forse aveva previsto, anche se non in queste forme, quando ancor giovane, espresse la volontà di essere sepolto al Pantheon di Roma.

DAVVERO RAFFAELLO MORì "D'AMORE"?

Raffaello Sazio morì nel giorno del suo 37° compleanno, a causa di una misteriosa febbre che Vasari attribuì alle scorribande dell’artista annotando che: «dopo aver disordinato più del solito (Raffaello) tornò a casa con la febbre», cosa che contribuì ad alimentare la diceria che il pittore dei papi fosse stato ucciso da «eccessi amorosi» che per secoli gli storici hanno tradotto in “sifilide”. In realtà, stando a uno studio recente condotto dagli storici della medicina dell'Università di Milano-Bicocca pubblicata su Internal and Emergency Medicine, la rivista della Società italiana di medicina interna (Simi) le cose sarebbero andate diversamente. Consultando e confrontando le informazioni contenute ne 'Le vite' del Vasari con testimonianze di personaggi storici coevi del pittore e presenti a Roma in quel periodo, come quella di Alfonso Paolucci, ambasciatore del duca di Ferrara Alfonso I d'Este o alcuni documenti riscoperti nell'Ottocento dallo storico dell'arte Giuseppe Campori sono giunti alla conclusione che: "Il decorso della malattia unito ad altri sintomi indurrebbe a pensare a una forma di polmonite", probabilmente aggravata dai salassi, rimedio principe dell’epoca, che avrebbero finito per indebolirne il fisico già fiaccato.

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