Tutto è cominciato con la litigata in diretta, domenica sera su Rai 3 nel corso di Che tempo che fa, tra Fabio Fazio e Renato Brunetta. All’incalzare del conduttore sulle emergenze economiche del Paese, il capogruppo del Pdl alla Camera ha elegantemente ribattuto, chiedendo lumi sull’accordo che lega Fazio alla Rai (“Ma è vero che lei ha un contratto da 5 milioni di euro?”).
Nel velenoso scambio di battute, il conduttore zittisce l’ospite precisando che lui l’azienda la fa guadagnare e che la metà dei compensi va in tasse che lui paga regolarmente, a differenza di chi è condannato per frode fiscale.
Alla fine, stretta di mano imbarazzata tra i due e sottofondo di battute di Luciana Littizzetto.
Tutto finito? Manco per sogno. Da settimane, il direttore di Rai 1 Giancarlo Leone stava infatti trattando con il manager di Maurizio Crozza, Beppe Caschetto, per il suo trasferimento sulla rete ammiraglia della Rai. Passaggio che sarebbe il vero botto della stagione televisiva, visto che il comico genovese ha dimostrato con gli spettacoli su La7 (oltre che con le sue sulfuree “copertine” in apertura di ogni puntata di Ballarò su Rai 3) di essere il solo in grado di cavalcare satiricamente l’attualità del Paese e di mettere in piedi uno show settimanale da milioni di spettatori. Ebbene, dato che l’azienda di viale Mazzini chiuderà l’anno con 200 milioni di deficit, il direttore generale della Rai Luigi Gubitosi (messo su quella poltrona per risanare i conti e non certo per competenza televisiva) ha pensato bene di dare lo stop a una trattativa su cui sono puntati i fucili di parte della critica. Soprattutto di Centrodestra, visto che Berlusconi e il Pdl sono tra i bersagli preferiti del comico.
Anche se, a dire il vero, non è che Crozza ci vada giù tenero col Pd e certi suoi nomi, tipo Renzi e Bersani, tanto per dire.
Giravano voci su un contratto da 20 milioni di euro per tre anni di show, con un compenso di 5 milioni di euro per il comico. Tanto? Poco? Cifre che fanno arrossire pensando a chi deve sbarcare il lunario con mille euro al mese.
Però i giudizi vanno dati con cognizione di causa e non sull’onda
dell’emotività. Prendere il compenso annuo di un personaggio e dividerlo
per i minuti di presenza in video (come fatto da alcuni giornali) è
pretestuoso e sostanzialmente non corretto. Da tempo, infatti, i
contratti televisivi vengono siglati per uno o più anni di esclusiva in
cui il tale conduttore garantisce tot spettacoli in prima serata, un
dato numero di repliche, ospitate e partecipazioni varie. In più,
portandosi appresso tutta una struttura produttiva (autori, scenografi,
tecnici) visto che ormai le reti sono solite acquistare non il
personaggio ma il “pacchetto spettacolo”. Non è poi il valore assoluto
di un contratto che va stigmatizzato bensì il rapporto tra costi e
ricavi: a fronte di quel compenso, il conduttore quanti ascolti e quanti
introiti pubblicitari procura all’azienda?
Con Fabio Fazio e Maurizio
Crozza i guadagni sono garantiti.
Semmai, ci sarebbe da indignarsi per i compensi una-tantum pagati
all’ospite di turno. E non ci riferiamo tanto alle cifre incassate da
personaggi come Celentano o Benigni, capaci comunque di far impennare
l’auditel di Sanremo. I palinsesti sono farciti di talk-show e rubriche
in cui si alternano, come in una compagnia di giro, sempre le stesse
facce. Pseudo vip che, esperti del nulla, danno il loro prezioso parere
sulla ricetta del giorno come sulla crisi internazionale del momento.
Tra cachet, gettoni di presenza, rimborsi spese e veri contratti,
centinaia di rivoli quotidiani di spesa dissanguano le casse delle reti.
Un’emorragia che colpisce Rai e Mediaset in egual misura.
Perché il
discorso che la Rai ha il canone mentre Mediaset non costerebbe nulla
allo spettatore non sta in piedi: vero è che le cosiddette Tv private
vivono di pubblicità, ma è altrettanto vero che siamo sempre noi utenti a
pagarla con un sovrapprezzo su ogni singolo prodotto. Insomma, a fare
scandalo non è l’eventuale compenso di Crozza (che il suo mestiere lo
sa fare e pure bene) piuttosto lo sperpero di denaro in piccole
clientele televisive. Da additare sono certi dirigenti come quelli di
Rete 4, che prima danno il via libera alla produzione di Radio Belva,
con conduttori come Giuseppe Cruciani e David Parenzo nonché ospiti del
calibro di Vittorio Sgarbi, salvo poi stupirsi per le volgarità e il
turpiloquio chiudendo il programma dopo una sola puntata. Quelli si che
sono stati soldi buttati.
Discorso più ampio meriterebbe poi l’andazzo
per cui le reti Tv appaltano a società esterne gran parte dei loro
palinsesti. Risultato? I canali, così come i programmi, si somigliano. E
le reti, quasi tutte, hanno perso il controllo della linea editoriale.
Non sono più riconoscibili. Dappertutto la stessa melassa.
Infine, un pizzico di vergogna per tanta ipocrisia. Non ci riferiamo
solo a Brunetta, che non è certo uno stinco di santo, ma a tutti noi.
Sopportiamo che banchieri, manager, boiardi di stato si suddividano
ancor oggi dividendi, stock-option e liquidazioni stellari dopo gestioni
comunque fallimentari. Da tifosi, plaudiamo il contratto milionario con
cui la squadra del cuore si assicura le pedate del campione di turno,
sbandierato sui giornali a cifre nette perché il tifoso non rifletta sul
fatto che quei compensi van raddoppiati (visto che le società pagano
anche le tasse del campione e le percentuali ai mediatori). Insomma,
scagli la prima pietra chi non ha gioito per gli ingaggi dei vari Tevez,
Balotelli, Totti o Higuain. Altrimenti, meglio star zitti.
Ci sentiamo però di condividere il pensiero di Luca Borgomeo, portavoce
dell’Associazione dei telespettatori cattolici (Aiart): “Apprezziamo
Crozza, ma chiediamo che anche per lui, come per tanti altri, vengano
calmierati i compensi. Ancor più in un momento di crisi”.