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domenica 10 novembre 2024
 
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Rap e trap, non censuriamo la musica dei nostri ragazzi. Ascoltiamola con loro

23/11/2023  Spesso nei testi delle canzoni l’amore è rappresentato come una cosa sporca, violenta e maledetta. Ma non vanno vietate. Vanno sentite insieme e va chiesto: “Ti piacerebbe essere trattato in questo modo?" (di Alberto Pellai)

Che musica ascoltano i nostri figli? I testi delle canzoni che loro amano possono avere un’influenza sul loro modo di avvicinarsi alla vita, sulle attitudini che mettono in gioco nelle relazioni con gli altri? Queste domande attanagliano spesso noi genitori e in questi giorni di enorme dolore per la tragedia riguardante Giulia Cecchettin sono ancora più stringenti. Perché proprio quelle competenze che sono  i pre-requisiti per il rispetto e l’empatia (fattori di protezione nei confronti di qualsiasi forma di violenza all’interno di un legame affettivo) sembrano non esistere all’interno dei testi di molti trapper e rapper che oggi vengono ascoltati e amati dalla maggior parte dei nostri figli e figlie. Non facciamo di tutta l'erba un fascio, ma in effetti, i testi di brani che spesso svettano ai primi posti delle hit del momento, analizzati con la lente del pensiero critico e dell’attenzione alle parole risultano enormemente disturbanti. Corpi di ragazze trattati come buche da bigliardo in cui infilare la stecca, dichiarazioni d’amore in cui si conquista l’accesso al corpo della partner dicendole che è più bella dei soldi o che le si regalerà una borsa di gran marca. Linguaggi impregnati di sessismo in cui il sesso è dentro a una relazione basata sul maschio potente che si prende ciò che vuole da una “tipa” che naturalmente “ci sta”, senza se e senza ma. Sono molte le domande da farsi. Come mai queste narrazioni non arrivano al centro del dibattito culturale e di genere? Come mai quando si parla di linguaggio rispettoso e inclusivo, si parla di mille cose ma nessuno ha mai il coraggio di mettere sulla scena anche un’analisi approfondita della cultura “mainstream” che ogni giorno bombarda le orecchie (e quindi forse anche il cuore e la mente) dei nostri figli? Stupisce anche constatare come artiste di primo piano nel panorama musicale italiano, spesso in prima linea nel dichiarare l’importanza di prevenire ogni forma di violenza verso le donne, siano poi frequentemente protagoniste di “feat./featuring” (ovvero collaborazione musicali in cui cantano parti di un brano) con altri artisti uomini che di questa cultura sessista sono portavoce assoluti. E stupisce ancora di più che spesso i brani in cui sono presenti i “feat.” di queste artiste raccontino storie di relazioni profondamente disfunzionali in cui parole che parlano di “possesso” del maschio nella relazione e di dipendenza affettiva sono all’ordine del giorno. È chiaro che c’è una confusione incredibile nella cultura corrente che sembra mossa molto più dal bisogno di popolarità che dalla necessità di lanciare un vero messaggio preventivo, del quale ci si vorrebbe proclamare  coerenti testimoni e paladini. Ed è anche chiaro che quando molti artisti uomini dichiarano che con le loro canzoni non vogliono lanciare un messaggio educativo, ma semplicemente fotografare il disagio in cui ragazzi e ragazze sono immersi oggi, stanno in realtà dicendo qualcosa che autogiustifica un prodotto artistico che per essere tale dovrebbe davvero lanciare provocazioni e usare anche un messaggio “scomodo” e perturbante, in cui però i concetti “chiave” non si trasformino in clamorosi autogol che altro non fanno che amplificare e diffondere proprio quegli stereotipi di genere e quella cultura del possesso che è un fattore di rischio di quel disagio che si vorrebbe denunciare. Molti genitori chiedono a noi specialisti se si deve vietare l’ascolto di questa musica. La risposta è: no, non è necessario vietare. Basta dialogare intorno ai testi. Senza fare prediche. Facendo soprattutto domande. Spesso, lavorando con preadolescenti e adolescenti, chiedo loro di immaginarsi concretamente protagonisti di un testo che rappresenta una situazione oggettivamente problematica. “ti piacerebbe essere trattato in questo modo? Se il tuo migliore amico parlasse di te usando questi termini, come ti sentiresti? Se un ragazzo ti dicesse che lui è la tua stecca da bigliardo e tu sei la sua buca, che cosa proveresti?”. A uno dei miei figli in attesa dell’uscita dell’album dell’anno, ho chiesto di dedicarmi mezz’ora per spiegarmene brano per brano il messaggio e il significato. L'incontro non è ancora avvenuto e ho chiaro che ascolterò la sua “versione dei fatti”, ma spesso in questo dialogo c'è spazio per accendere molto pensiero critico e ridimensionare la portata di certi contenuti che, inutile negarlo, sul piano educativo sono davvero inaccettabili. Spesso, durante viaggi condivisi in cui sto trasportando un figlio e qualche suo amico a un evento sportivo chiedo di farmi ascoltare qualche brano delle loro playlist del momento. Ascolto, senza commentare. A volte accade che loro stessi dicano “Questa la saltiamo, papà, perché è troppa roba per te”. Già in questa reazione io trovo che ci sia un ruolo importante dell’adulto silenzioso che ascolta: obbliga a capire dove deve essere messo il limite. Se io non censuro, ma condivido l’ascolto con te, allora tu a quel punto sei obbligato a prenderti la responsabilità di ciò che arriva in ascolto nell’abitacolo dell’automobile. Penso che il problema maggiore relativo ad alcuni progetti musicali che usano parole violente, volgari e sessiste è relativo al fatto che alcuni adolescenti sono immersi nell’ascolto di questi brani da mattina a sera. Un “bum bum” martellante di musica arrabbiata, di suoni e parole violente che non ha mai un contraltare, un’integrazione mediata da altri messaggi, altre proposte formative. E spesso chi è così “dentro” questo genere di ascolto, lo trasforma nella propria cultura personale e perciò ne assume identità e valori. Alcune sere fa, dopo una conferenza, ho avuto la fortuna di trascorrere un dopo cena con 5 adolescenti che avevano fatto i volontari nell’accoglienza del pubblico dell’evento di cui ero stato protagonista. Uno di loro è producer di musica trap. Proprio quel giorno era uscito l’album del suo artista preferito. Abbiamo parlato a lungo di cosa gli piacesse e cosa invece avrebbe voluto diverso in quel progetto musicale. Io, durante il viaggio in auto per raggiungere la sede dell’incontro, avevo ascoltato due volte l’intero album sapendo che anche un mio figlio non vedeva l’ora che uscisse. Ad un certo punto, il quasi 18enne mi ha detto così: “Il problema che c’è in queste canzoni è che quando cantano l’amore, lo cantano sempre sporco e maledetto. Non è mai una cosa davvero bella”. Penso che questo sia ciò che serve: non censurare, ma aiutare a produrre significati.  

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