Da sinistra Joseph Ratzinger, oggi 94 anni, con Vittorio Messori, 80.
«Joseph Ratzinger? Un uomo di grande semplicità e correttezza, una delle persone più gentili e corrette che ho mai conosciuto». Il giornalista Vittorio Messori richiama alla memoria quell’estate del 1984 quando, per tre giorni, intervistò l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Quelle ore vissute con il cardinale Ratzinger diedero di fatto l’avvio a un nuovo genere letterario, quello dei libri-interviste a personaggi dell’alta gerarchia vaticana, con il best-seller Rapporto sulla fede (San Paolo), la cui lettura è ancora consigliabile per capire tanto della Chiesa contemporanea.
L’occasione di intervistare Messori ci è data dal 70° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del Papa emerito, avvenuta nel Duomo di Frisinga il 29 giugno 1951, quando aveva 24 anni. Fra gli ordinandi c’era anche il fratello maggiore Georg, morto nel 2020. Un periodo intenso di studio e preghiera per il giovane Joseph, ma anche di formazione per quello che diventerà di lì a poco il suo pane quotidiano, la teologia, scienza che gli aprirà le porte alla docenza in varie università tedesche, gli consentirà di partecipare in qualità di perito al concilio Vaticano II e, nel 1981, lo porterà per volere di Giovanni Paolo II a guidare la Congregazione per la dottrina della fede, il massimo organo incaricato di tutelare l’ortodossia della fede.
«Mi davano per pazzo perché avevo intenzione di fare un’intervista con il capo di quello che solo vent’anni prima aveva il nome di “Sant’Uffizio”, organo vaticano temutissimo perché non parlava se non per iscritto e statuendo senza appello di fronte ai casi teologicamente dubbi», ricorda Messori. E Ratzinger nell’immaginario collettivo rappresentava proprio il massimo esponente di quell’organo, che aveva come consegna il silenzio sulle spinose questioni che trattava.
Il futuro Papa celebra Messa nei pressi di Ruhpolding, sulle montagne della Baviera, nel 1952, l'anno successivo alla sua ordinazione sacerdotale. Foto Reuters. .
Il giorno del rendez-vous nel seminario di Bressanone, in Alto Adige, la timidezza si sciolse subito. «Giunse all’appuntamento in taxi. Ne uscì vestito con la talare perché veniva da una cerimonia. Se lo avessi incontrato senza conoscerlo e vestito in abiti civili lo avrei scambiato per un rispettabile sindaco di quelle parti». Un lavoro gomito a gomito durato giorno e notte.
«A posteriori credo che il nostro approccio fu favorito dalla comune data di nascita, anche se io sono più giovane, cioè il 16 aprile, il giorno della morte di suor Bernadette, che in prospettiva credente è quello della vita senza fine». Il taglio umano di Ratzinger non tardò a manifestarsi. «Mi mise subito a mio agio, rispose a tutte le mie domande. Si comportò sempre in modo tranquillo e trasparente, senza reticenze anche di fronte alle questioni più spinose». Un uomo semplice, Ratzinger. «La semplicità di un uomo che non pensa che ci sia cattiveria nel mondo, quella stessa che poi si scatenò dopo la pubblicazione del libro». Affidò al segretario la rilettura delle bozze e non tagliò niente perché gli pareva un normale libro che parlava di fede. «Un uomo trasparente, coltissimo, una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto e che, nonostante questo, sembra aver conservato dall’infanzia l’idea della bontà intrinseca dell’uomo».
Come era, invece, il Ratzinger sacerdote? «In quei giorni nella cappella privata del seminario celebrava la Messa in tedesco, ma anche in latino e in italiano, ed era assistito dalle due suore che lo accompagnavano. Traspariva l’uomo che è, dotato di quella straordinaria fede che sa guardare alle cose della Chiesa e del mondo con la tranquillità di chi è consapevole che tutto è nelle mani di Gesù Cristo, l’unico Salvatore. Un uomo che ha saputo contemperare le ragioni dell’intelligenza con quelle della fede».