Per dieci anni, ho fatto parte della Commissione teologica internazionale, presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger. È nata così fra noi un’amicizia, di cui è frutto anche il dono di essere stato consacrato vescovo da lui l’8 settembre 2004 su proposta di san Giovanni Paolo II, che non aveva potuto ordinarmi di persona a motivo delle sue condizioni di salute. Di Ratzinger, pastore, teologo e Papa, vorrei ricordare la vastità del sapere e la grande umanità.
Profondo conoscitore della Sacra Scrittura, come dei Padri della Chiesa, in modo particolare di sant’Agostino, il futuro Papa ha scandagliato tempi e stagioni diverse della riflessione critica della fede, dal pensiero di san Bonaventura al contributo della Scuola di Tubinga del XIX secolo, che ha anticipato sotto molti profili il concilio Vaticano II.
La chiarezza della sua scrittura nasceva da un lavoro di cesello, che lo portava a scandagliare i vari aspetti dell’oggetto trattato e ad esporre i risultati cui perveniva in modo rigoroso, fondato e ordinato, coniugando sempre la sfera intellettuale e l’esperienza spirituale, la scienza e la sapienza, l’esperienza riflessa del mistero divino e la gioia di irradiarne la conoscenza e l’amore. In questo senso la sua Introduzione al cristianesimo (Queriniana, 1969) è un esempio di servizio magistrale alla fede e all’azione dei credenti di fronte alle sfide del tempo. C’è in Ratzinger una radicale attitudine all’ascolto: egli non si impone mai, mette sempre il suo interlocutore a proprio agio, ne sollecita la parola e l’espressione del pensiero, per quanto possa essere diverso o distante dal suo.
Quest’attitudine di rispetto, aperta a voler apprendere dall’altro, esprime una mente in continua ricerca, animata dal desiderio di un approccio sempre più pieno alla Verità, nella convinzione che a dover vincere su tutto e tutti non è l’una o l’altra delle posizioni in gioco, ma appunto la Verità che tutte le trascende e le giudica. È questa fiducia nella forza del Vero che dona ai suoi interventi un carattere di autentica credibilità, riconosciutogli peraltro dagli interlocutori più diversi: basti pensare al dialogo da lui tenuto nel gennaio 2004 con Jürgen Habermas a Monaco di Baviera presso la Katholische Akademie. Infine, mi ha sempre colpito la grande umanità di Joseph Ratzinger: «La vera umanità dell’uomo», affermava, «è l’umanità di Dio, la grazia, che riempie la natura».
Quest’attenzione all’umano nasceva in lui dalla fede profonda nel Dio fatto uomo: «La fede è credere all’amore di Dio che non viene meno di fronte alla malvagità dell’uomo, di fronte al male e alla morte, ma è capace di trasformare ogni forma di schiavitù, donando la possibilità della salvezza» (Udienza del 24 ottobre 2012). Di questa fede Joseph Ratzinger ha vissuto, questa fede ha annunciato e offerto come dono di verità e di libertà all’inquieto mondo uscito dalla crisi delle ideologie e sfidato dalle incertezze del “postmoderno”. Così, il grande teologo è stato inseparabilmente il pastore, testimone e apostolo della carità, su cui tutto si gioca nel tempo e per l’eternità.