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sabato 05 ottobre 2024
 
Immigrazione
 

Reato di clandestinità, l’Asgi: «Inutile e fa male alla giustizia»

23/01/2016  È una legge del tutto inefficace, che fa spendere un sacco di soldi allo Stato e che ingolfa il lavoro dei magistrati, spiega l’avvocato Guido Savio, dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione. Ma il governo prende tempo, e non lo abolisce. Danneggiando gli immigrati e la giustizia. E venendo meno a un’indicazione precisa del Parlamento, che ne aveva chiesto l’abrogazione entro 18 mesi.

Da tempo lo chiedono le forze dell’ordine, la Procura nazionale antimafia, i magistrati, numerosi avvocati ed esperti del settore: il reato di clandestinità va abolito. Nell’aprile 2014, il Parlamento aveva incaricato il Governo di abrogarlo entro diciotto mesi: il tempo è scaduto, ma per Angelino Alfano «è meglio non attuare la delega», mentre per il ministro Boschi «oggi non è giusto depenalizzare il reato, occorre prima preparare l’opinione pubblica». Nell’attesa, un inutile “muro di carta” continua a intasare le procure italiane e i giudici di pace, ritarda altri processi, rende più difficile la lotta agli scafisti e spreca soldi pubblici.

Ne parliamo con l’avvocato Guido Savio dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi).

L'avvocato Guido Savio dell'Asgi (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione).
L'avvocato Guido Savio dell'Asgi (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione).

- Cosa prevede il reato di clandestinità?

«Punisce chi entra o soggiorna illegalmente in Italia da un paese non UE. È la violazione di una norma amministrativa di competenza dei giudici di pace. La sanzione è un’ammenda da 5 a 10 mila euro, quindi una sola pena pecuniaria che non prevede forme limitative della libertà personale, come l’arresto o il fermo di polizia. Così lo straniero viene denunciato a “piede libero” (con il nome che sceglie di dichiarare) e, nella lunga attesa del processo, può spostarsi dove vuole: qualora dovesse essere condannato a pagare l’ammenda, chi lo recupererà mai? Inoltre, proprio perché privo di permesso di soggiorno, la persona irregolare non può avere un conto corrente, né può essere assunta regolarmente, o intestarsi beni mobili o immobili. Questa inefficacia era nota già nel 2009 quando il reato fu creato: si sapeva che la pubblica amministrazione non avrebbe intascato nemmeno un centesimo». 

- Cosa ha comportato l’introduzione di questo reato?

 «L’apertura di un numero enorme di procedimenti inutili, specialmente nelle procure e giudici di pace vicini alle frontiere. Applicarlo alla lettera vorrebbe dire processare gli oltre 170 mila sbarcati nel 2014 e i 150 mila dell’anno scorso: nell’ottobre 2013 sono stati iscritti nel registro degli indagati anche i sopravvissuti alla tragedia di Lampedusa che ha commosso il mondo. Stante l’inefficacia, nelle grandi città (Roma, Milano, Torino) le pratiche vengono di fatto tenute nei cassetti, mentre in alcuni centri di provincia, meno oberati (ad esempio Cuneo), i processi vengono celebrati. Si produce carta ed è anche un modo per fare numeri nelle statistiche, dimostrando una presunta efficacia dei funzionari pubblici. Intanto però la macchina della giustizia si ingolfa, rallentando processi ben più importanti. E poi i costi: dallo stipendio dei giudici a quello degli avvocati di ufficio, a cui si aggiungono le spese di notifica che quasi mai arrivano a destinazione perché non si sa dove mandarle; tutte le spese processuali sono anticipate dallo Stato, che non le recupera mai proprio perché i sanzionati non sono in grado di pagarle. Insomma, sono condanne ai mulini a vento, che causano però un elevato spreco di soldi pubblici».


- Nel 2009 il reato era stato introdotto per frenare l’immigrazione irregolare…

«Sotto il profilo della deterrenza è stato completamente inefficace. Gli ingressi illegali negli ultimi sei anni non sono affatto diminuiti, anzi. Al contrario, come ha detto la Procura nazionale antimafia, l’invenzione di questo reato ha indebolito la lotta ai trafficanti perché ha introdotto un ostacolo procedurale: il giudice che deve individuare lo scafista non può sentire lo straniero sbarcato in quanto testimone e persona informata dei fatti, ma come indagato, quindi in presenza di un avvocato e con la facoltà di non rispondere».

- Abolire il reato di clandestinità vorrebbe dire permettere l’immigrazione irregolare?

«Assolutamente no, chi lo dice racconta una bufala. Come era già previsto prima del 2009, in parallelo ai procedimenti delle procure e dei giudici di pace, lo straniero sorpreso in condizione irregolare sul territorio italiano viene espulso in via amministrativa dal prefetto. Tuttavia, anche il mancato pagamento della sanzione del giudice di pace può essere sostituito dall’espulsione. Si assiste quindi a due procedimenti paralleli, quasi una corsa a chi arriva prima, e il normale buonsenso consente di domandarsi che senso abbia disporre una pluralità di espulsioni, con l’ulteriore aggravio dei costi di un processo penale. In ogni caso, se il reato di clandestinità fosse abolito, continuerebbero a essere in vigore le espulsioni degli irregolari ad opera delle prefetture».

- Perché nel 2009 venne introdotto il reato di clandestinità?

«Fu una “legge manifesto” dell’allora premier Berlusconi e dei ministri Maroni e Alfano, all’interno di un clima culturale in cui si voleva mostrare i muscoli, veicolando nell’opinione pubblica l’idea che gli immigrati irregolari fossero colpevoli e meritevoli di uno stigma sociale».

- Oggi il ministro Boschi dice che l’opinione pubblica non è pronta e occorre rimandare la depenalizzazione.

«Ci si arrovella se sia “politicamente opportuno” mantenere in vigore un reato inutile e che causa uno spreco di soldi pubblici. Siamo alla frutta se chi amministra non è in grado di prendere una decisione giusta, perché in balia dell’opinione pubblica e del “sentire di pancia”. Nello specifico, poi, il Governo dovrebbe rispondere al Parlamento: nell’aprile 2014, il Parlamento ha conferito delega al Governo per la depenalizzazione entro 18 mesi di una serie di reati, tra cui quello di clandestinità. A tempo scaduto, l’indicazione dei deputati (eletti dai cittadini) non è stata eseguita, nicchiando e invocando considerazioni di opportunità politica».


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