La prima Notte bianca della spiritualità andata in scena a Torino. In alto: Massimo Recalcati.
Il percorso di formazione di una vita non è mai lineare. È fatto di smarrimenti, deviazioni, fallimenti, crisi. E non c’è crescita che non passi attraverso l’incontro, “cattivo” o “buono” che sia. «Il primo è quello che chiude il mondo, il secondo quello che ci spalanca lo sguardo su nuovi contesti, nuove persone», spiega Massimo Recalcati, docente all’Università di Pavia e psicanalista tra i più noti in Italia, ospite nell’ultima giornata di Torino Spiritualità, che ha chiuso con successo i battenti con oltre 50.000 presenze e ha visto il debutto della prima Notte bianca della spiritualità.
Il libro di Recalcati L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento (Einaudi) è un elogio all’educazione e al tempo stesso una critica durissima alla scuola d’oggi. Cosa significa – si chiede – essere insegnanti in una società che trasmette solo nozioni ma non esperienze di vita? «Un bravo maestro sa “lasciare un segno”, non tanto per i contenuti che gli presenta, quanto per la sua capacità di far nascere passioni, fare in modo che il sapere diventi erotico». Sì, erotico. «Deve trasformare l’alunno in un amante del sapere, deve insegnargli a considerare l’Altro con lo stesso rispetto con cui leggo un romanzo, perché un libro può essere un corpo e un corpo può essere un libro».
Bambino bloccato, con lo sguardo sempre rivolto fuori dalla finestra durante la lezione, e adolescente irrequieto, per Recalcati tutto cambia a 17 anni. Sono i difficili Anni Settanta, frequenta un istituto agrario di Quarto Oggiaro, alle porte di Milano. Poi arriva Giulia: è giovane, bella, ma soprattutto spiega la letteratura con un’intensità che Massimo non ha mai visto prima. «Mi si sono aperti gli occhi all’improvviso», ricorda. E così si innamora delle parole, va a studiare Filosofia alla Statale.
«Come racconta Platone nel Simposio, la grandezza di Socrate sta nel non
volersi identificare in una coppa piena di nozioni: ama il sapere ma è
consapevole di non poterlo possedere interamente perché ha un limite
interno. Con il celebre “Io non so” si rifiuta di riempire di semplici
informazioni la testa e il corpo di Agatone bramoso di conoscenza: non
vuole trasformare gli altri in cloni».
Quali sono, allora, i tratti
distintivi di un buon maestro? «Sa accendere il desiderio, sa inciampare
in un testo e scoprirne ogni volta nuove prospettive, sa tacere l’amore
per i suoi allievi perché devono essere liberi di provare l’esperienza
dell’impossibile», spiega lo psicanalista. In latino, “educare” e
“sedurre” hanno la stessa radice: in entrambi i casi è un’esperienza che
dallo smarrimento rigenera il mondo in una forma ogni volta diversa.
«Il vero miracolo è riuscire a trasformare un oggetto teorico in un
corpo erotico – racconta –. Il buon insegnante si rende conto di aver
fatto una buona lezione quando realizza di aver imparato anche lui
qualcosa. Troppo spesso, invece, quel desiderio di imparare si perde».
Nella scuola d’oggi possiamo intravedere una deriva tecnologica, nata
dall’idea che la vita sia una gara. «L’ora di lezione diventa così
l’aspetto più marginale, stritolato nel tritacarne della scuola-azienda,
che taglia tutte le risorse e umilia professionalmente ed
economicamente gli insegnanti. Andare a scuola deve essere sì un trauma,
ma positivo: un antidoto all’oscurità, alla droga intesa come ogni
forma di schiavitù, dal corpo, dal cibo, dalla tecnologia». Recalcati ne
parla con trasporto, senza retorica, ma forte della sua esperienza di
vita. «Perché spiegare bene una qualunque poesia di Ungaretti vale più
di un colloquio con uno psicologo».