L'ALFABETO DELL'ETICA
9. Padri
La riflessione di Massimo Recalcati sul significato dell'essere-padri continua la serie "L'alfabeto dell'etica", un'indagine sulle parole e i concetti da riscoprire per orientarsi di fronte alle sfide del nostro tempo. La serie è stata inaugurata dalla conversazione con Laura Boella sull'immaginazione come facoltà morale ed è continuata con l'intervista a Richard Sennett sulla collaborazione quale modalità vincente della convivenza. Poi ha offerto il resoconto della lezione del Dalai Lama sull'"egoismo saggio" e l'intervista a Marc Augé, che identificava nella conoscenza la vocazione più alta dell'uomo. Edgar Morin ha indagato il significato di sviluppo; Roberto Mordacci quello di rispetto; Gabriella Turnaturi quello di vergogna. Gianfranco Marrone aveva infine svolto uno studio non scontato sulla stupidità.
«I padri latinano, si sono eclissati
o sono divenuti compagni di gioco dei loro figli.
Tuttavia, nuovi segnali, sempre più insistenti,
giungono dalla società civile, dal mondo della politica e dalla cultura,
a rilanciare una inedita e pressante domanda di padre».
(Massimo Recalcati, Il complesso di Telemaco)
Dunque, il padre è morto. Lo hanno proclamato in diverse forme la filosofia, la letteratura, la psicanalisi; soprattutto, lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle nella vita individuale e sociale, quando ci siamo trovati orfani di una stella polare, di un punto di riferimento, di una Legge condivisa e condivisibile, capace di orientare il nostro agire.
È un fatto a tal punto conclamato, l'evaporazione del padre, che ci siamo finalmente messi in cammino per capire che cosa fare in sua assenza, come riempire il vuoto. Siamo entrati nell'epoca post morte del padre. Anche perché abbiamo sperimentato nelle nostre esistenze e, in scala maggiore, nei grandi fenomeni mondiali che determinano il destino delle nazioni che la ribellione, la trasgressione edipica contro il Padre e la Legge non hanno prodotto nulla di durevole, lasciandoci più soli e smarriti che mai. Come pure non ha risolto i nostri problemi la chiusura narcisistica in noi stessi, in una sorta di autismo che, negli ultimi anni, ha preso la forma dell'immersione nei social network (Facebook e affini).
Da tempo lo psicanalista Massimo Recalcati studia e, attraverso l'incontro con i pazienti, ascolta le voci del disagio, di quel male di vivere che si è impossessato di noi orfani, ormai disillusi rispetto all'efficacia della trasgressione e già stanchi di specchiarci in noi stessi. In Cosa resta del padre?, del 2011, veniva analizzato a fondo il fenomeno dell'evaporazione del padre, con tutte le sue implicazioni e i suoi risvolti. Ora si fa interprete di questo desiderio di andare oltre, di cercare una vita possibile e sensata nell'epoca del tramonto della Legge con un testo stimolante: Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre (Feltrinelli).
L'idea di fondo è che Telemaco, il figlio di Ulisse che resta in attesa del padre per ristabilire la legge sull'isola di Itaca, usurpata dai proci - come racconta l'Odissea - possa suggerire un nuovo modo di essere figli, e quindi di essere uomini nell'epoca della morte del padre. Se Edipo definiva la sua essenza nella volontà di uccidere il Padre, Telemaco è in attesa del suo ritorno: esprime cioè una radicale invocazione del Padre, scaturita dalla presa di coscienza che senza Legge non c'è Senso, non c'è felicità.
Certo, il padre atteso e invocato da Telemaco non potrà più essere il padre padrone, il padre-eroe, il padre-dio: l'epoca del padre come Legge assoluta è finita, per sempre e per fortuna, considerate le ricadute negative che ha generato. È un padre nuovo quello di cui siamo alla ricerca: un padre Testimone, non più in grado - come la storia si è incaricata di dimostrare - di incarnare il Senso, la Legge, la Verità, bensì di testimoniare con la propria vita e le proprie scelte un Senso possibile, una Legge possibile, una Verità possibile. E di far intuire al figlio che desiderio (cioè felicità) e legge non sono incompatibili: al contrario, sono l'uno essenziale all'altro, mentre la pretesa di un godimento illimitato, senza freni, senza legge né castrazione, si rivela effimero e ci lascia vuoti.
All'inedita figura paterna dovrà corrispondere un'inedita figura di figlio: non più l'Edipo che non riconosce limiti ed elimina chiunque li rammenti, né il Narciso che crede di bastare a se stesso. È Telemaco a insegnarci chi è, oggi, il figlio autentico, l'erede giusto, perché sa riconoscere il debito insuperabile che lo lega ai genitori, trovandovi il germe del limite che, se rispettato, dà senso alla vita.
È significativo che il saggio di Recalcati si apra con una dedica ai figli («Ai miei figli, Tommaso e Camilla, ai loro regni») e si chiuda con un toccante ricordo dei suoi genitori: solo l'alleanza fra i primi (figli che riconoscono il debito originario, quindi si aprono all'Altro) e i secondi (padri che, smesse le vesti degli eroi, si fanno testimoni di un senso possibile) traghetterà le nostre vite e il nostro futuro verso un'epoca nuova.
Un ultimo punto merita di essere sottolineato, prima di dare spazio alle parole di Recalcati: il padre-testimone di cui siamo alla ricerca, di cui abbiamo bisogno potranno naturalmente essere i genitori che ci hanno messo al mondo, ma anche un professore, uno zio, un amico, un'esperienza di conoscenza che abbiamo incontrato. Il padre-testimone può essere anche un padre adottivo, non essendo il sangue, bensì la capacità di mostrare il legame fra legge e desiderio, la sua qualità essenziale.
Recalcati, le chiedo anzitutto di fare un passo indietro, a beneficio di chi ci legge. Lei è fra coloro che meglio hanno saputo raccontare l’"evaporazione del padre”. Che cosa significa questa espressione e quali implicazioni ha per la vita dell’individuo e della società?
Nell’Introduzione al Complesso di Telemaco, lei puntualizza che sarebbe sbagliato pensare all’eclissi del padre come a un fatto provvisorio, effimero, trattandosi al contrario di un fatto strutturale, insuperabile…
"Sì, l’onda della morte del padre è un’onda che viene da lontano. Essa prende corpo nell’annuncio nicciano relativo alla morte di Dio e conosce nella storia più recente i suoi tornanti fondamentali nelle contestazioni giovanili del 1968 e del 1977. Quest’onda demolisce la figura del padre-padrone, del padre-Dio, del padre che pretende di avere l’ultima parola sul senso della vita, del padre autoritario, del padre del bastone. In questo senso il tempo del pater familias è un tempo strutturalmente esaurito, ma il fatto che quella rappresentazione disciplinare del padre sia definitivamente tramontata non significa affatto fare a meno del padre. In fondo anche nel Nuovo Testamento la parola di Gesù corregge e completa una certa versione inflessibile della paternità che si incarnava nel Dio del Vecchio Testamento, introducendo la figura del padre attraverso il dono, attraverso l’amore più che il bastone".
Resta dunque viva e pressante la domanda di padre, l’invocazione della Legge, quasi una nostalgia di essi. L’uomo non può vivere senza Legge? Anche in altri suoi testi lei ha chiarito che l’esperienza del limite (castrazione) è fondamentale prima per la formazione dell’identità di una persona e poi per la sua felicità. Sempre a beneficio di chi legge, può ritornare su questo punto e mostrare come la Legge sia fondamentale per la nascita del desiderio?
"La vita umana per umanizzarsi deve poter incontrare lo spigolo duro del limite. Il padre è il simbolo della Legge perché rappresenta proprio l’incontro beneficamente traumatico con questo spigolo. D’altra parte l’esperienza del limite non ha come finalità quella di mortificare la vita. Un padre non è un domatore di leoni, piuttosto l’esperienza del limite rende possibile l’esperienza del gioco del desiderio. Senza limite non c’è possibilità di giocare, lo sanno bene i bambini. Il desiderio sorge dall’incontro con una soglia".
Tuttavia – lei chiarisce – non del padre portatore di dogmi, modelli, Verità assolute, insomma, non del padre-dio o del padre-eroe, dell’Ideale, che è da una lato evaporato e dall’altro non “interessa” più ai giovani. Di quale tipo di padre, allora?
"Se il nostro tempo è il tempo della morte del padre-padrone, bisogna ripensare, come scrivo, il padre non più a partire dall’autorità simbolica conferitagli dalla tradizione, ma dai suoi atti, dall’atto della testimonianza. Si tratta di un padre che sa generare rispetto non al suo Nome, ma al suo atto".
E veniamo così all’idea di testimonianza, uno dei concetti chiave, mi sembra, del suo nuovo saggio. Il padre, oggi, proprio perché non è più un dio o un eroe, non è più la Legge, può e deve trasmettere non il senso della vita, ma che c’è un senso possibile della vita. Tale trasmissione può avvenire solo nella forma della testimonianza?
"La testimonianza di un padre non pretende mai di essere esemplare, ideale, compiuta. Sono i figli che devono riconoscere negli atti dei loro genitori il valore di una testimonianza; questo avviene nel tempo, retroattivamente. Io posso pensare alla vita silenziosa, operaia, ai ritmi sempre uguali di questa vita, della vita di mio padre e di mia madre, adesso che ho cinquant’anni, come la vita di due testimoni che mi hanno insegnato come unire il desiderio alla Legge, come cioè poter dare senso alla vita sebbene la vita non sia in nostro possesso, non sia governabile, sebbene io non sia il fondamento della mia vita".
Perché oggi è così è diventato così difficile avere coscienza dell’esistenza del limite e del suo ruolo “costruttivo”? Perché si è imposto il mito di una libertà illimitata, senza responsabilità, di un godimento infinito?
"Perché il discorso sociale prevalente sconfessa la virtù del limite, mostrando che tutto è possibile. Il comandamento sociale attuale è “perché no?”. Perché dover rinunciare adesso al godimento, perché fare esperienza del limite? Che senso ha il limite se tutto ci spinge verso un'esperienza che cancella ogni limite e che in questo modo trascina la vita verso la rovina? Non è invidiabile la condizione delle nuove generazioni: la trasgressione sembra essere stata sostituita da un’impressionante solitudine… La difficile condizione dei giovani si manifesta in particolare nel modo in cui vivono la sessualità e nella loro dipendenza dalle tecnologie. Il culto contemporaneo della trasgressione promette una falsa soddisfazione. Trasgredire la Legge non genera in realtà mai nessuna soddisfazione. Oggi la trasgressione non è più l’espressione della libertà di fronte al peso oppressivo della Legge, ma è diventata una sorta di obbligo sociale. Ma se la trasgressione diventa un dovere paradossale - come accade nel nostro tempo - essa non è più la manifestazione del desiderio, bensì del suo esatto contrario. Di conseguenza al posto dell’eccitazione subentra la tristezza e lo svuotamento del senso della vita".
Molte pagine sono dedicate ai genitori. I peggiori, lei scrive, sono sia quelli che annullano ogni differenza generazionale, si fanno complici e amici dei figli, rinunciando al loro compito educativo, ma anche quelli che, misconoscendo la loro insufficienza e imperfezione, pensano di incarnare la Legge.
"Un bravo genitore sa di non essere sufficientemente bravo, sa che il suo è un mestiere impossibile. I migliori genitori sono quelli che non fanno gli educatori, in quanto conoscono bene la difficoltà del loro mestiere. I migliori sono quelli che non nascondono le loro insufficienze, ma che sanno incarnare la Legge del desiderio, ovvero che si può vivere su questa terra con gioia e soddisfazione".
Perché Telemaco e non più Edipo né Narciso esprimono le corrette dinamiche del rapporto fra figli e genitori?
"Edipo vive il padre come un ostacolo per il suo desiderio. Resta prigioniero dell’odio. Telemaco invece guarda il mare e si aspetta di ritrovare suo padre. Aspetta il padre per stabilire con lui una nuova alleanza. Questa nuova alleanza permette di riportare la luce nella notte dei Proci. I figli di oggi assomigliano a Telemaco più che a Edipo, cercano testimoni. Il problema dei nostri figli sono quei genitori che fanno i figli al posto di fare i genitori".
La crisi investe non solo gli individui e le famiglie, ma anche le istituzioni.
"Viviamo in un tempo dominato dall’apologia idolatrica per il godimento immediato. Questa spinta a godere il più possibile è antagonista all’istituzione, perché il compito di ogni istituzione (famiglia, scuola, ospedale, Stato) dovrebbe essere quello di mettere un limite, un “freno”, come direbbe Lacan, al godimento individuale".
Atto fondamentale dell’ereditare è riconoscere la dipendenza, il debito rispetto a un Altro: perché?
"Perché nessuno di noi è padrone della sua vita ; nessuno ha deciso le sue origini. Noi veniamo sempre dall’Altro. Innanzitutto dall’Altro del linguaggio. Nessuno di noi potrebbe parlare, comunicare, vivere insieme agli altri senza che riconosca le leggi del linguaggio. Il mito dell’auto-generazione, del farsi da sé, dell’essere genitori di se stessi, è un altro mito delirante del nostro tempo".
Un’idea molto suggestiva che ho incontrato nel suo libro è quella che dice che il padre, la Legge, e la testimonianza di essi, si possono incontrare anche al di fuori dei confini famigliari.
"Se la paternità è dono della testimonianza di come si possa vivere in questo mondo con generatività e soddisfazione, essa non dipende dalla stirpe, dal sangue, dalla biologia. In questo senso Francoise Delto ritieneva che fosse San Giuseppe il vero modello di paternità. Non dunque lo spermatozoo, ma una adozione simbolica che umanizza la vita".