Nel Patto per il lavoro stipulato dai beneficiari del Reddito di cittadinanza previsto dal decreto del Governo che lo istituisce, i Centri per l’impiego giocano un ruolo fondamentale. Qui infatti si troveranno i cosiddetti “navigator”, operatori che li aiuteranno a collocarsi nel mercato del lavoro e le piattaforme digitali che mettono in contatto le aziende con i potenziali occupati. Ma i Centri per l’impiego sono pronti a questa vera e propria rivoluzione, per la quale il Governo ha destinato un miliardo di euro? Siamo andati in vari uffici del lavoro per capire qual è attualmente lo stato delle cose.
QUI MILANO
Marco, 24 anni, attende il suo turno e la prende con disincanto: «È una misura per vincere le prossime elezioni. Sarà difficile da applicare, l’Italia è piena di furbetti. Certo, se uno ha i requisiti fa bene a chiederlo». Aisham, imbianchino egiziano, 39 anni, a Milano da 11, abbozza un sorriso: «Magari avessi la cittadinanza italiana». Andrea, 24 anni, un diploma di geometra, è scettico: «Non ho capito quali sono i requisiti per chiederlo, ma preferisco avere un posto di lavoro che un sussidio». Ha lavorato per tre mesi come magazziniere per Amazon a Buccinasco. Finito il contratto, a casa: «Mi hanno spremuto come un limone. Fanno anche contratti di una settimana. È stata dura». È qui al Centro per l’impiego di Milano di via Strozzi per richiedere lo “storico”, vale a dire il curriculum da presentare ai prossimi (si spera) datori di lavoro interessati al suo profilo. Per Daniele, 23 anni e un diploma di ragioniere, il Reddito di cittadinanza è solo «l’ultima spiaggia, non sono ancora così disperato e posso cercare con calma». Fuori dal Centro, c’è un sit-in del Cub (Confederazione unitaria di base) che distribuisce volantini dove il reddito è bocciato senza appello perché, si legge, «legato al capestro dell’accettazione di lavori anche schiavistici, precari e perfino a oltre 250 km di distanza dalla residenza del lavoratore». Sarà. Ma basta affacciarsi al bancone della reception perché la musica cambi. Da mesi le richieste per il Reddito di cittadinanza tengono banco e dopo le feste di Natale sono pure aumentate. Non arrivano solo giovani dai 20 ai 30 anni, come pure ci si aspetterebbe, ma moltissimi che vanno dai 40 ai 50 anni, l’età più ostica per rientrare in gioco dopo che la crisi ti ha sbalzato fuori dal treno della vita normale. In una mattinata, abbozza una funzionaria, su 35 persone almeno una ventina hanno chiesto informazioni sul Reddito di cittadinanza. Le idee, par di capire, sono poche e confuse: c’è chi chiede solo delucidazioni, chi arriva sicuro e domanda «Quando mi chiamate per darmelo?» e chi ci fa solo un pensierino, come tante donne casalinghe e anche una coppia, lei del 1958 e lui del 60. E gli stranieri? Tre su sette s’informano. Poi prevale la routine, ossia la richiesta dei certificati per mettersi in lista per la casa popolare e avere l’abbonamento scontato ai mezzi pubblici. Il Centro per l’impiego di Milano fa parte di Afol Metropolitana, azienda pubblica partecipata dal Comune e dall’area metropolitana, l’ex provincia.
Giuseppe Zingale, 54 anni, è il direttore generale di Afol Metropolitana: «Il Reddito di cittadinanza è un sussidio in linea con gli altri Paesi europei», spiega, «è una misura interessante ma non esaustiva. Chi viene qui cerca e chiede un lavoro. In Lombardia abbiamo un sistema che integra pubblico e privato e funziona».