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mercoledì 30 aprile 2025
 
Sì o no?
 

Referendum: una guida al voto a uso degli incerti

02/12/2016  Il Senato, le Regioni, la Presidenza della repubblica, gli scenari dopo il 4 dicembre. Per che cosa andiamo a votare? È previsto un quorum? Come si è schierato il mondo cattolico? Un vademecum per chi non ha ancora deciso.

Finalmente si vota, è il caso di dirlo. La campagna referendaria ha infatti totalmente assorbito il dibattito politico, mettendo in ombra tutto il resto, con toni e slogan fuori dalle righe, per usare un eufemismo. Ma è stata anche l’occasione per un salutare dibattito sulla nostra Carta costituzionale. Alla vigilia di quello che è diventato un vero e proprio snodo politico, ecco un piccolo vademecum in forma di intervista per chi non ha ancora le idee chiare.

Per che cosa andiamo a votare?

«Il referendum confermativo è l’ultimo atto di una serie di passaggi parlamentari che hanno portato alla riforma della Costituzione. In caso di vittoria del sì cambieremo 47 articoli, più di un terzo della nostra Carta».

È previsto un quorum?

«Nessun quorum, prevale il maggior numero dei sì o dei no».

Quali sono i punti principali della riforma?

«Cardine del cosiddetto Disegno di legge Renzi-Boschi è la trasformazione del Senato. La legislazione ordinaria spetterà solo alla Camera, che rimane così com’è. Ma il Senato potrà esprimere pareri sui progetti di legge approvati dai deputati e proporre modi che entro 30 giorni dall’approvazione: in questi casi la Camera non avrà l’obbligo di considerazione. Il Senato continuerebbe però a legiferare sulle riforme costituzionali, sulla tutela delle minoranze linguistiche, sulla disciplina dei referendum popolari, sull’approvazione delle normative e dei trattati comunitari, sulle leggi del Senato e sull’assetto istituzionale delle città metropolitane. I senatori parteciperebbero anche all’elezione del presidente della Repubblica ».

Chi fa parte del nuovo Senato?

«Il nuovo Senato non verrà eletto dai cittadini, sarà un organo di rappresentanza di Comuni e Regioni composto solo da 100 senatori e non più dai 315 attuali. I 100 senatori verranno nominati con questa composizione: 95 dai Consigli regionali, 5 dal presidente della Repubblica (che li sceglierà fra sindaci e consiglieri regionali). Scompaiono i senatori a vita, con una sola eccezione: gli ex presidenti della Repubblica. I nuovi senatori non percepiranno compenso, godranno dell’immunità parlamentare (ma non da consiglieri: resta un rebus come sarà possibile distinguere i due momenti) e si dedicheranno all’attività del Senato svolgendo un doppio incarico: per metà senatori e per metà consiglieri regionali. Inoltre, si avvierà il processo per l’abolizione delle Province e del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. La riforma introdurrà anche i referendum abrogativi e le proposte di legge popolari, che richiederanno però almeno 150 mila  firme e non più solo 50 mila. Inoltre verrà introdotto l’obbligo di discussione delle proposte di legge popolari. Sarà anche possibile il referendum propositivo che consentirà ai cittadini di chiedere alla Camera di emanare nuove leggi».

Quali sono i vantaggi della riforma secondo i suoi sostenitori?

«Il superamento del “bicameralismo paritario”. Oggi le due Camere hanno pari poteri e svolgono le stesse identiche funzioni. Una sola Camera non favorirebbe solo la celerità con cui si producono le leggi ordinarie. C’è chi ha fatto notare, come il politologo Giorgio Campanini, che nella “navetta” da un ramo all’altro del Parlamento le posizioni si “scoloriscono” e alla fine la legge  finisce per avere molti padri (o divenire addirittura orfana). Con la riforma gli elettori saprebbero chi si è assunto la responsabilità di una legge. Diminuirebbero anche le eventuali aggiunte o varianti (spesso per ragioni lobbistiche o clientelari) che hanno reso confuse o poco chiare le leggi».

Quali sono i punti più controversi della riforma costituzionale?

«Uno degli articoli più criticati è il numero 57 sulla composizione del nuovo Senato. I senatori non vengono eletti ma nominati in sede regionale o tra i sindaci. Inoltre la doppia funzione  finisce per divenire un pasticcio. Il Governo parla di risparmi per 500 milioni l’anno. In realtà la Ragioneria generale dello Stato ha calcolato un risparmio effettivo, dovuto ai 215 senatori in meno, di 49 milioni di euro. Altri 8,7 milioni vengono dalla chiusura del Cnel. Secondo l’articolo 117 che riporta allo Stato “le disposizioni generali e comuni per la salute” i cittadini di ogni Regione avranno accesso allo stesso tipo di cure per malattie molto gravi come tumore o vaccini. Ma per i critici della riforma in realtà non cambia nulla poiché quello che conta sono i  finanziamenti delle varie Regioni. Altro punto controverso è l’articolo 70, che da lapidario “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”, diventa, a giudizio di molti, prolisso, complicato, di difficile e controversa interpretazione e illeggibile dai non addetti ai lavori. Molto criticato anche il nuovo articolo 117 che sottrae alla volontà popolare tutte le competenze europee».

Che cosa cambia per le Regioni?

«La riforma mette  fine alla cosiddetta legislazione concorrente, che regola le competenze tra Stato e Regioni a statuto ordinario su molte materie a favore del primo (infrastrutture, energia, ambiente, gestione dei trasporti, produzione e distribuzione dell’energia, politiche dell’occupazione, la sicurezza sul lavoro eccetera). Pochi lo hanno rilevato, ma con questa riforma viene meno quel poco di federalismo che c’era in Costituzione, riportando a Roma gran parte dei poteri che nel 2001 erano stati divisi a metà. Il nuovo articolo 117 infatti introduce una “clausola di supremazia” che consegna allo Stato la “golden share” ogni volta che lo ritiene opportuno. Requiem per il federalismo, ma nessuno, nemmeno i leghisti, sembrano stracciarsi le vesti, dopo un ventennio di dibattito nazionale che arrivò a coinvolgere il centocinquantenario dell’Unità d’Italia».

Quali critiche politiche sono state mosse alle riforme?

«Il premier Matteo Renzi ha trasformato il referendum in un plebiscito pro o contro il suo Governo. Ma in questo lo aveva già “aiutato” Grillo. C’è chi ha sostenuto che una riforma costituzionale di tale portata, che investe così tanti poteri della Repubblica, aveva bisogno di un consenso più ampio, e non affidato solo alla maggioranza di Governo. Inoltre, con un sì o un no si viene chiamati a dare una risposta a molteplici e diverse questioni. Ma Renzi ha ribadito che la riforma è avvenuta nel solco di quanto prescritto dalla Costituzione e delle precedenti riforme costituzionali».

Come si è schierato il mondo cattolico?

«Movimenti, associazioni, rappresentanti delle istituzioni cattoliche, intellettuali, opinionisti. Il mondo cattolico andrà al voto diviso, essendosi orientato su visioni opposte. La Conferenza episcopale italiana ha invitato i fedeli ad approfondire i temi e ad andare a votare, ma senza schierarsi. Una linea mantenuta da diversi movimenti, come l’Azione cattolica, il Movimento dei Focolari e Comunione e liberazione. Anche il Forum famiglie ha invitato a recarsi alle urne senza però dare indicazioni di voto in favore del no o del sì. Schierati sul no ci sono il presidente del Movimento cristiano lavoratori Carlo Costalli e l’animatore del Family Day Massimo Gandolfini, che ha costituito un Comitato per il no. A favore del sì il presidente delle Acli Roberto Rossini e la rivista dei Gesuiti Civiltà Cattolica».

L’Italicum, la nuova legge elettorale, fa parte del referendum?

«No. Ma c’è chi vede nell’Italicum un rischio autoritario secondo il “combinato disposto” con le riforme costituzionali. Prevedendo la nuova legge il ballottaggio tra i primi due partiti, in un sistema tripolare come il nostro (Grillo, Renzi, Berlusconi e Salvini) c’è il rischio che il vincitore si affermi nell’unica Camera con appena il 15-20 per cento dei voti, controllando non solo il Governo ma anche l’elezione degli organi di garanzia (a cominciare dalla Presidenza della Repubblica e dai giudici costituzionali). La riforma prevede quorum più alti proprio per evitare questo rischio, ma solo nei primi turni di elezione. Si è calcolato che dal settimo scrutinio bastano 221 voti per eleggere il capo dello Stato, in un Parlamento in cui il primo partito ha diritto a 340 deputati. Per questo c’è chi perora il ritorno al proporzionale per dar vita a un Governo di Grande Coalizione, come quello tedesco».

Quali partiti sono per il sì?

«A favore della riforma sono la maggioranza del Partito democratico (la minoranza di Bersani e D’Alema ha votato in Parlamento la riforma per tutti e quattro i passaggi parlamentari ma poi si è schierata per il no) e i centristi di Alfano».

Quali partiti sono per il no?

«I Cinque Stelle, la Lega, Forza Italia, Monti e, come detto, la minoranza Pd».

Che succede se vince il no?

«Gli scenari del no sono molto incerti. Ma è chiaro che se il premier dovesse dare seguito a quanto promesso in caso di vittoria del no, il 5 dicembre darebbe le dimissioni e aprirebbe una crisi di Governo. Lo ha detto anche il ministro Graziano Delrio: “Se vince il no dobbiamo rimettere il mandato. Poi sarà Mattarella a decidere il da farsi”. A quel punto si aprono diverse ipotesi: un nuovo mandato a Renzi, un Governo tecnico, un Governo di scopo (la nuova legge elettorale), lo scioglimento delle Camere, una volta constatato che non esiste una maggioranza politica. Si aprirebbe una resa dei conti anche all’interno della sinistra».

Che succede se vince il sì?

«Il sì dovrebbe dare più stabilità al Governo. Ma c’è anche chi preconizza che Renzi darebbe le dimissioni per correre alle elezioni anticipate per incassare la vittoria in termini di consenso politico al Pd. La minoranza del Pd di D’Alema e Bersani, schierata per il no, darà vita a una scissione. D’Alema ha dichiarato che se vince il sì scompare il Pd e vanno al Governo i Cinque Stelle».

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