Lo hanno attestato i sondaggi, lo conferma il
clima politico arroventato, ormai totalmente
assorbito da quello che è diventato
un vero e proprio “spartiacque”. Sul
referendum confermativo di domani – trasformato dal premier Matteo
Renzi (e dai suoi oppositori) in una sorta di giudizio universale del
Governo – l’Italia si è divisa in due come una
mela. E le questioni tecniche contano sempre
meno, a vantaggio della “sovrastruttura” politica.
Nonostante sia un referendum che non
prevede il “quorum” (vince chi ha totalizzato
più voti), l’incertezza regna sovrana. Secondo
l’ultimo sondaggio Demopolis fatto prima dell'embargo, il no era in
lieve vantaggio, ma l’incognita è costituita
da sette milioni di elettori che non avevano ancora
deciso cosa fare. Di questi sette milioni,
solo due milioni di indecisi dichiaravano di andare alle urne,
tutti gli altri non sanno nemmeno se usciranno
di casa per andare a votare. «Sono le due grandi
incognite della prossima consultazione», spiega
il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro
Vento. «Una variabile in grado di modicare
il referendum di diversi punti percentuali e in
definitiva di stabilire il successo del sì o del no».
La sfida ha ormai assunto significati che
vanno ben oltre il tema referendario. Milioni di italiani si recheranno alle urne
per esprimere un giudizio sul Governo di
Matteo Renzi che sogna una "rimonta spettacolare". Di fatto è come se gli italiani andassero
a votare su due quesiti, uno contenuto
nella scheda elettorale, l’altro, ritenuto ancora
più importante, destinato a incidere nel dibattito
politico e mediatico degli ultimi mesi.
Il dibattito trascende ormai dalle considerazioni squisitamente
costituzionali. Si sono moltiplicati i comitati
per il sì e per il no, gli appelli, i manifesti di
personalità e opinionisti. Renzi, protagonista di
un frenetico tour in giro per l’Italia al fine
di conquistare consensi, appare
pronto a giocarsi tutto. «Se si tratta di
galleggiare», ha detto recentemente,
«io non ci sto». Il ministro Del Rio ha detto chiaro e tondo che in caso di vittori dei no Renzi salirà al Colle per rassegnare le dimissioni. Dunque si possono già
delineare gli scenari a seconda della
vittoria di uno schieramento o dell’altro.
«Interpreto il 4 dicembre come
un’occasione in cui si fa chiarezza», ha
detto lo stesso Renzi in modo esplicito.
In caso di vittoria del no il premier non
accetterà un “Governo tecnico” o di
larga intesa e nemmeno un “governicchio”.
E dunque non resterà che andare
a nuove elezioni, anche se la scelta
spetta al presidente della Repubblica
Sergio Mattarella.
Senza contare le
incognite dell’altro convitato di pietra
di questo referendum: l’Italicum. Detto
in parole povere, poiché la nuova
legge elettorale è pensata solo per la
Camera, se prevale il no si va a votare
anche per il Senato. Servirà dunque
una legge nuova, con non poche difficoltà sul piano politico e legislativo.
Insomma: un bel pasticcio.
Il leader dell’opposizione all’interno
del Pd Pier Luigi Bersani, che
si è schierato per il no, si dice invece
favorevole a far proseguire l’esperienza
governativa di Renzi. Ma in pochi
ci credono. Sono in molti a temere
l’apertura di una fase di instabilità
(con conseguenze imprevedibili nei
mercati) che preluderebbe all’avvento
al potere del Movimento Cinque Stelle
di Beppe Grillo, dato in testa nei
sondaggi sopra il Partito democratico, sempre più lacerato tra la “vecchia
guardia” di Bersani e Massimo D’Alema
(ormai irriducibile nemico di Renzi, fondatore di un Comitato del no) e
la maggioranza del partito guidata dal
segretario-premier. Ma politicamente
il Centrodestra ha scompaginato le
alleanze: accanto alla sinistra del Pd ci
sono Silvio Berlusconi, Mario Monti,
Matteo Salvini e i grillini, tutti per il
no. Accanto a Renzi restano schierati i
centristi di Angelino Alfano.
Dopo aver tentato inutilmente
di fare marcia indietro rispetto
alla personalizzazione del referendum
(e aver capito che ormai non
c’era più nulla da fare) Renzi ha impresso
un’accelerazione alla campagna
referendaria, trasformando la
consultazione in un vero e proprio
gradimento sulla tenuta di Governo.
Alzando i toni fino a tornare rottamatore:
«Contro di me la solita accozzaglia
». Il premier sa di giocarsi tutto e
cerca di conquistare il serbatoio degli
indecisi. E vive il 4 dicembre come “la
battaglia finale”.