(Foto Reuters: il presidente della Catalogna Carles Puigdemont, il sidnaco di Barcellona Ada Colau al suo fianco e altri membri del Governo autonomo in plaza Sant Jaume, davanti alla sede della Generalitat, a Barcellona il 2 ottobre, il giorno dopo il referendum)
Nella serata di domenica 1° ottobre, dopo la chiusura dei seggi, per le strade di Barcellona tanti catalanisti hanno festeggiato la riuscita del voto sventolando le bandiere stellate della Catalogna. Ma, stando ai numeri, il referendum non è stato un trionfo dell'indipendentismo. L'affluenza alle urne si è attestata intorno al 42%: le schede conteggiate sono circa 2.260.000, su 5,3 milioni di cittadini aventi diritto. Secondo Jordi Turull, portavoce dell'Esecutivo catalano, circa 400 collegi elettorali sono stati chiusi dalla polizia, di conseguenza quasi 700mila voti sono andati perduti. Il 90% di chi si è recato alle urne ha detto sì all'indipendenza, il no ha raggiunto circa il 7%. Certo i dati devono tenere conto delle difficoltà nelle quali il voto si è svolto, che giustificherrebbero in parte anche l'alta astensione.
Numeri a parte, da qualunque parte la si guardi, la giornata del voto per l'indipendenza della Catalogna mostra comunque dei torti. Il torto del Governo autonomo catalano, guidato dal presidente Carles Puigdemont, è di aver proseguito nella sua disobbedienza a Madrid confermando un referendum basato su una legge - Ley del referéndum de autodeterminación vinculante sobre la independencia de Cataluña - approvata lo scorso 6 settembre e dichiarata illegale il 7 dal Tribunale costituzionale spagnolo. Il torto del Governo centrale di Mariano Rajoy è di aver deciso di usare la forza per impedire il voto.
Il premier spagnolo non ha saputo gestire la situazione: gli interventi violenti della polizia contro gli elettori e i cittadini che difendevano i seggi - seppur illegali - e che hanno causato quasi 900 feriti, hanno suscitato grande sconcerto e provocato le critiche della comunità internazionale. L'alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, si è dichiarato molto "turbato" dagli eventi del 1° ottobre e ha sollecitato un'indagine indipendente e imparziale su quanto accaduto a Barcellona e nel resto della Catalogna. «Le risposte della polizia devono essere sempre proporzionate e necessarie», ha aggiunto l'alto funzionario delle Nazioni unite, ricordando che la soluzione può essere trovata solo attraverso il dialogo politico, ne rispetto delle libertà democratiche.
Critiche e richiami al dialogo anche da parte della Commissione europea, attraverso le parole del portavoce di Jean-Claude Juncker Margaritis Schinas, secondo il quale la risposta deve essere «pienamente rispettosa della Costituzione spagnola e dei diritti fondamentali dei cittadini che riunisce», pur ribadendo che il voto in Catalogna di domenica non è stato legale.
Il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, chiede a gran voce una mediazione internazionale tra Barcellona e Madrid e chiama in causa l'Unione europea. Alla dichiarazione della Commissione europea (sempre attraverso Schinas) che la questione catalana è una faccenda interna della Spagna, Puigdemont risponde che, al contrario, si tratta di «un tema europeo, non domestico». E "bacchetta" il silenzio di Bruxelles affermando che «l'Unione europea non può voltarsi dall'altra parte».