L’apertura della legge 40 alla fecondazione eterologa torna prepotentemente nel dibattito a causa della sentenza del Consiglio di Stato sulla Regione Lombardia. I commenti fioccano, e come al solito si costruiscono blocchi di tifoserie contrapposte, tra chi inneggia alla conquista di civiltà e chi invece rivendica la legittimità di una scelta. Prima di dire la nostra, vediamo cosa è successo.
Il Consiglio di Stato ha di fatto bocciato la scelta della Regione Lombardia di far pagare a prezzo pieno (la cifra pare essere di 3.500 Euro) la prestazione sanitaria per le coppie che si avvalgono dell’eterologa, lasciando invece “solo” un ticket di 500 Euro alle coppie che si avvalgono dell’omologa (con gameti all’interno della coppia, senza donatori esterni).
Perché, in ultima analisi, il Consiglio di Stato sostiene che le due tecniche sono di fatto uguali, perché risolvono un problema sanitario uguale (la sterilità/infertilità totale), e quindi si crea un intollerabile differenza per lo stesso “diritto di salute”, quello di riuscire a generare un figlio attraverso tecniche sanitarie. Tra le motivazioni della Regione Lombardia, la necessità di fare i conti con risorse sempre in diminuzione per la sanità (compresi i trasferimenti dallo Stato alla Regione), e anche il riferimento ad una “oggettiva” differenza tra eterologa e omologa, riconosciuta peraltro dalla stessa Legge 40, prima che venisse smantellata dalle continue sentenze della Corte Costituzionale. E, infine, Regione Lombardia ricordava che la PMA (procreazione medicalmente assistita) non fa ancora parte dei LEA nazionali, cioè di quelle prestazioni sanitarie irrinunciabili per ogni cittadino, quindi da erogare obbligatoriamente.
In effetti la Lombardia non è l’unica regione che fa pagare l’eterologa; solo che le altre Regioni che la fanno pagare sono “costrette” dalla legge nazionale, perché sono quelle con i bilanci sanitari in dissesto, e quindi sono sottoposte ad un piano di rientro che fa pagare ai cittadini molte più prestazioni. Quindi in queste Regioni il diritto alla PMA gratuita non viene comunque riconosciuto, per motivi economici.
Come si vede, pur in poche righe, un intreccio complesso di diritto alla salute, di questioni economiche, di frontiere etiche della medicina. Si può certamente dire, ad esempio, che un ampliamento dell’accesso ad alcune prestazioni sanitarie sia comunque un fatto positivo, un sostegno, nella fattispecie, a coppie che vogliono comunque accogliere una nuova vita. Però non si può certo dimenticare che nel 2004 la legge distingueva nettamente tra omologa ed eterologa, e nel dibattito etico, culturale e politico il tema è ancora molto controverso, e rimane ancora aperta la domanda sulla oggettiva differenza tra metodi di fertilità assistita che utilizzino “materiali biologici” esterni o interni alla coppia che poi accudirà il bambino che deve nascere.
Qualche perplessità rimane anche pensando a quanti sono i diritti alla salute tuttora negati nel nostro Paese, a quanti interventi sono razionati per motivi economici; quanto sono lunghe le liste di attesa per ecografie, quanta poca assistenza domiciliare sanitaria è disponibile, quanto devono spendere le famiglie che hanno parenti anziani ricoverati, quanto poco ancora si fa sul “dopo di noi”? Su questi temi, ricorsi e sentenze sono molto meno efficaci e vigili. Sembra quasi che l’attenzione sia solo per i “nuovi diritti di salute”, quelli ad elevata tecnologia, forse perché sono quelli che aprono nuovi mercati, anche economici, mentre la “salute tradizionale” attira attenzioni molto minori.
Da ultimo, mi si permetta una riflessione non giuridica: colpisce moltissimo, in tema di accoglienza della vita, la differenza di trattamento economico e di attenzione, da parte dello Stato, tra la procreazione medicalmente assistita – tendenzialmente gratuita - e l’adozione internazionale – tuttora pressoché totalmente a carico delle famiglie adottive. Lo so bene che la sanità ha statuto di diritto fondamentale, mentre la solidarietà e il sociale sono “optional”: se ci sono i soldi, si può fare, altrimenti, niente. Però francamente è triste vedere che la copertura economica e giuridica dello Stato è più pronta a risolvere un problema degli adulti (l’impossibilità di avere figli biologici) che a promuovere un’azione di solidarietà verso terzi, da parte delle famiglie a favore dell’infanzia abbandonata, azione spesso innescata proprio da un problema di sterilità/infertilità. Forse è davvero tempo di ripensare i diritti – anche quelli alla salute – non in termini individualistici, ma in termini di solidarietà allargata.