Questa volta al telefono non ha tempo Shelina Begum, mamma di Tafida, la piccola di appena cinque anni, colpita da un’emorragia cerebrale, che lotta tra la vita e la morte nel suo letto d’ospedale del “Royal London Hospital”. I minuti stringono e questa quarantenne bengalese, velata come chiede l’Islam, sta partendo per l’Alta Corte, dove il giudice Alistair MacDonald riprende oggi ad ascoltare gli argomenti a favore e quelli contro il distacco dei tubi che tengono in vita la bambina. Una mamma tigre, della quale e’ facile immaginare la fatica, se pensiamo che, dallo scorso febbraio, non lascia un attimo la figlia e, nel poco tempo che le rimane, quando a sostituirla e’ il marito, studia i cavilli giudiziari di un paese che vuole far morire la sua bambina.
La voce suona stanca, depressa, quella di qualcuno consapevole che il suo futuro, quella Tafida adoratissima, sta ormai nelle mani della legge che gia’ due volte, nei casi dei piccoli Alfie Evans e Charlie Gard, ha deciso che alimentazione, respirazione e idratazione andavano sospesi. “Questa settimana voglio concentrarmi sull’udienza. Non ho tempo per i giornalisti”, risponde decisa Shelina, rimandandoci alla persona che cura, per lei, i rapporti con i media. “Tutta la mia famiglia sta seguendo il caso, nell’aula del tribunale, e non abbiamo tempo per nient’altro”. Insieme al marito Moahmmed, 45 anni, consulente nel settore costruzioni, davanti al giudice ci sono gli zii e le zie di Tafida, i cugini, che si abbracciano e si sostengono a vicenda come in qualunque davvero unita famiglia estesa.
Stanca, ma positiva. Shelina suona decisa, determinata, quando le chiediamo se ha ancora speranza. “Si’”, risponde, “Sono convintissima che possiamo farcela”. Per Tafida non e’ ancora detta l’ultima parola. Gli avvocati della famiglia stanno usando una strategia leggermente diversa da quella adottata per Alfie e Charlie. Cercano si di far valere il diritto dei genitori a far curare la figlia all’estero, sostenendo che e’ nel miglior interesse della bambina vivere anziche’ morire. Chiedono anche, pero’, al giudice, per la prima volta, di tutelare le convinzioni religiose di mamma e papa’, musulmani praticanti, per i quali acconsentire a staccare i tubi sarebbe “inammissibile”. Come ha confermato anche una fatwa, emessa ad hoc per Tafida, qualche giorno fa, dal Consiglio islamico europeo.
“Nessuno puo’ disporre della vita umana tranne Dio”. Proprio quello di cui e’ convinta Shelina che, nell’altra intervista data a “Famiglia Cristiana”, ha detto che “la vita della figlia e’ scritta soltanto nel libro di Dio”. In Italia questa convinzione e’ ancora tutelata come sostiene, davanti al giudice, l’avvocato della famiglia. E nel nostro paese c’e’ quell’ospedale, il Giannina Gaslini di Genova, pronto ad accogliere la piccola e a praticarle quella tracheotomia della quale ha bisogno per poter respirare da sola e uscire finalmente dal letto. Sapremo forse venerdi, quando dovrebbe concludersi il processo, se il giudice ha deciso che Tafida, che alza e abbassa le manine, muove la testa e anche le labbra e, in questi mesi, e’ anche cresciuta ha diritto di continuare a vivere.
Se anche dicesse pollice verso, come nel caso di Alfie e Charlie, la battaglia dei genitori continua. Sui social network gli hashtag #saveTafida e #TafidaRaqeeb battono il tam tam di una veglia di preghiera organizzata per giovedi sera a Trafalgar square dove arriveranno centinaia di persone. E la petizione online dedicata alla bambina https://www.citizengo.org/en-gb/lf/172220-release-tafida-raqeeb ha gia’ raggiunto quasi un quarto di milione di firme. Quello stato britannico che, senza alcuna pieta’, nego’ ai genitori di Charlie Gard anche il diritto di portarselo a casa a morire, lascia ancora aperta a mamma e papa’ la strada della Corte di appello e della Corte Suprema. Nel caso il giudice Alistair MacDonald dichiarasse “futile” la vita della piccola.