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venerdì 25 aprile 2025
 
LINGUA E SOCIETA'
 

Regolamento al femminile dell'Università di Trento e "maschile sovraesteso", di che cosa stiamo parlando

04/04/2024  All'Università di Trento si scrive un regolamento declinato tutto al femminile, in polemica con la regola linguistica del "maschile non marcato". Ma che cos'è esattamente? Davvero discrimina le donne? Che ne dice la Crusca?

Un comunicato sul sito dell’Università di Trento annuncia che il nuovo regolamento di Ateneo approvato il 28 marzo scorso è scritto tutto al femminile, indipendentemente dal fatto che le persone che vi si designano nei ruoli e nelle cariche siano uomini o donne. Il caso ovviamente fa discutere, anche perché comporta una non piccola forzatura della norma e dell’uso dell’italiano. Lo si fa in polemica con il “maschile non marcato” o “sovraesteso”: un uso consolidato che, non senza qualche malinteso, è recentemente entrato nel mirino di chi sostiene il bisogno di un linguaggio più inclusivo.

A giudicare dal comunicato - il regolamento suddetto non è ancora stato pubblicato – ci sarebbe stato anche qualche travisamento, che fa pensare che non sia del tutto chiaro a chi lo ha steso e a chi lo ha approvato che cosa si intende in linguistica con “maschile non marcato”.

Che cosa è il maschile non marcato o sovraesteso

Quando dobbiamo riunire in un plurale più soggetti di genere diverso, magari concordandovi un aggettivo o un participio, in italiano, usiamo il maschile cosiddetto “non marcato” o “sovraesteso”. Eccone alcuni esempi: «I banchi e le sedie nella mia classe sono tutti colorati”. E ancora: “Ho due cugini miei coetanei, un fratello e una sorella già adulti e due sorelle più piccole di me». «I miei amici Mario e Chiara sono belle persone». Casi diversi che rendono l’idea delle differenze quando i soggetti sono di generi diversi.

Lo si fa per economia: sarebbe molto lungo e macchinoso, se dovessimo dire ogni volta: «i banchi e le sedie nella mia classe sono tutti e tutte colorati e colorate». Nessuno riuscirebbe a proseguire così per un discorso intero, dopo un po’ di concordanze facilmente si perderebbe il filo.

La spiegazione di Trento

  

Non a caso l’economicità è esattamente la spiegazione che dà il rettore Flavio Deflorian, dell’Università di Trento, a proposito del controverso regolamento: «Nella stesura del nuovo Regolamento », si legge nel comunicato dell’Università, «abbiamo notato che accordarsi alle linee guida sul linguaggio rispettoso avrebbe appesantito molto tutto il documento. In vari passaggi infatti si sarebbe dovuto specificare i termini sia al femminile, sia al maschile».

La stessa ragione che, da sempre, giustifica linguisticamente la prassi del maschile sovraesteso o “non marcato”, che però, va precisato, per i linguisti è valido solo al plurale. La lingua prevede che si dica: «Marco e Carla sono biondi» includendo entrambi nel maschile plurale “biondi”, ma non ammette il singolare: «Carla è castano». Quest’ultimo non è un esempio di maschile non marcato, ma solo un errore di concordanza. Perciò quando il regolamento di Trento opta per «Una bozza declinata su un unico genere» e sceglie «quello femminile» indiscriminatamente, va al di là delle intenzioni della propria provocatoria adozione di un presunto «femminile sovraesteso», ogni volta che designa al femminile la carica ricoperta da un uomo al singolare.

A CHE COSA SERVE UNA LINGUA, PROVOCAZIONI E FINALITÀ

Anche volendo aderire alla provocazione, la faccenda linguisticamente non è semplice: non basterebbe, neanche volendo, sostituire il maschile sovraesteso con un femminile sovraesteso per cambiare le regole. Ammesso che si riuscisse, resterebbe un problema non piccolo di comunicazione. Se dico: «Stasera indosserò pantaloni e scarpe nuovi», significa che entrambi i capi d’abbigliamento sono appena usciti dal negozio; se dico: «Indosserò pantaloni e scarpe nuove», sono nuove solo le scarpe. Cambiare arbitrariamente questo meccanismo significa pregiudicare la comprensibilità e la comunicazione, ossia terremotare la finalità di una lingua piegandola ad altri scopi.

Finché resta una provocazione – dare un segnale di attenzione una tantum come atto simbolico – ci sta, ma sarebbe una strada rischiosa se si pensasse di applicarla sempre. Provocazione per provocazione ci si potrebbe chiedere: che cosa accadrebbe, in un Tar, se dopo aver violato un punto del Regolamento un uomo impugnasse la sanzione, dicendo di non aver compreso che il regolamento lo includeva parlando della sua carica solo al femminile? Basterebbe aver premesso, in barba alle regole e all’uso della lingua corrente, in un comma che: «I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone» per fugare l’incomprensione?

UN EQUIVOCO DI FONDO

  

L’ostilità nei confronti del maschile “non marcato” parte dal presupposto che vi sia una sovrapponibilità tra il genere in senso linguistico e il genere in senso sociale, e che il “maschile non marcato” finisca per “nascondere” la componente femminile discriminandola, ma le cose non stanno esattamente in questi termini. In italiano, tanto per cominciare, hanno un genere anche le parole che designano oggetti inanimati, e il rapporto tra “significante” (la sequenza di lettere che compone una parola) e il “significato” (l’oggetto/soggetto che quella parola designa) è tranne che in pochissimi casi puramente convenzionale.

Non solo, quanto alle persone, non è impossibile che una parola di genere femminile designi una figura maschile e viceversa: “guardia” è un sostantivo femminile, ma designa tanto un maschio quanto una femmina e quando non c’erano donne in quel ruolo designava solo maschi restando parola femminile. “Persona” e “individuo”, pressoché sinonimi, sono rispettivamente un femminile e un maschile dal punto di vista grammaticale, ma nel significato sono neutre, indicano ogni essere umano senza distinzione alcuna. “Soprano”, “mezzosoprano”, “contralto” sono, invece, sostantivi grammaticalmente maschili che designano soltanto voci femminili o bianche.

 

CHE COSA DICE L'ACCADEMIA DELLA CRUSCA

La questione soprattutto nel linguaggio giuridico (e un regolamento lo è) non è oziosa. Tanto è vero che il 9 marzo del 2023 l’Accademia della Crusca, rispondendo a un quesito sulla parità di genere negli atti giudiziari posto dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, è intervenuta sul tema. «La lingua giuridica», scriveva un anno fa l’antica istituzione fiorentina in una lunga e articolata disamina, reperibile sul sito dell’Accademia, nella quale affrontava l’argomento con sensibilità e sfumature, «non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto. In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare. Ugualmente si potrà usare il maschile non marcato quando ci si riferisca in astratto all’organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta: "Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri" (art. 89, II c., Cost.). Si tenga presente che il maschile non marcato è ben vivo nella lingua, nell’uso comune: “Tutti pronti?”, “Siete arrivati tutti?”, “Sono tutti sani e salvi!”, “Scendete tutti da quella barca: sta per affondare!”. In casi come questi, la reduplicazione, ammissibile nel discorso pubblico di un ministro o una ministra, di un rettore o una rettrice universitaria, di un sindaco o una sindaca, avrebbe effetti comici e inappropriati, specialmente in situazioni familiari o di urgenza. Inoltre, il maschile non marcato è in questi casi inevitabile: se lo si volesse annullare interpretando il maschile in maniera assurdamente rigida, occorrerebbe rivedere tutti i testi scritti italiani, compresi quelli giuridici, occorrerebbe insomma riscrivere milioni di pagine, a cominciare dalla Costituzione della Repubblica, che parla di “cittadini”, senza reduplicare “cittadini e cittadine”, ma intendendo che i diritti dei cittadini sono anche quelli delle cittadine».

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