le ministre Bellanova e Lamorgese
Anzitutto chiamiamola col suo nome: questa è una misura per far emergere il lavoro nero e regolarizzare una parte dei 600 mila migranti irregolari presenti in Italia, garantendo le esigenze del mercato del lavoro. Le forze d’opposizione, Lega in testa, hanno già etichettato la “sanatoria” come un “colpo di spugna sull’immigrazione clandestina”, magari dimenticando che “sanatorie” del genere (e anche più imponenti) le fecero, in passato, governi di centro-destra. Ma l’articolo 110bis del sudatissimo decreto “Rilancio” approvato, dopo estenuanti trattative, dal Consiglio dei Ministri il 13 maggio rappresenta, comunque, un contributo non indifferente per ridare legalità, dignità e diritti a lavoratori stranieri, ma anche italiani, troppe volte in balia dei caporali o di datori di lavoro senza scrupoli. Al contempo la misura offre una prima, benché parziale, risposta alla necessità di tanti agricoltori che rischiano di lasciare frutta e verdura a marcire nei campi, a causa della mancanza di lavoratori stagionali. Infine, ma non meno rilevante in tempi di pandemia, assicura accesso al sistema sanitario per tanti immigrati, scongiurando pericoli di nuovi contagi.
Era arrivata fino a minacciare le dimissioni, davanti ai niet piccati dei 5S, la ministra per le Politiche agricole Teresa Bellanova, la quale ieri sera, tradita dall’emozione che le ha rotto la voce, ha finalmente potuto annunciare la regolarizzazione di migranti, braccianti, ma anche colf e badanti. "Voglio sottolineare un punto per me fondamentale: l'emersione dei rapporti di lavoro. Da oggi gli “invisibili” saranno meno “invisibili”. Da oggi possiamo dire che lo Stato è più forte del caporalato", ha affermato la ministra nella conferenza stampa a Palazzo Chigi, dopo il Consiglio dei ministri.
“Non per le braccia, ma per le persone. Non era questione di bandierine, ma di dare risposte a chi aspettava da tempo legalità e diritti”, ha twittato il ministro del Sud, Giuseppe Provenzano, perché il decreto è una misura efficace per il contrasto all’illegalità e al caporalato tanto diffuso al Sud, ma anche nelle campagne del Nord.
In estrema sintesi, da oggi i cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto tra il 31 ottobre 2019 e il 31 gennaio 2020, potranno richiedere un permesso di soggiorno temporaneo della durata di 6 mesi per svolgere lavori in agricoltura o come colf e badanti. Nella sanatoria rientrano pure i lavoratori italiani impiegati illegalmente.
Potranno accedere alle misure coloro che risiedevano già in Italia e che non hanno lasciato il Paese prima dell’8 marzo 2020. Chi presenta domanda dovrà dimostrare di aver già lavorato in questi settori. Il secondo canale per la regolarizzazione previsto dal decreto è offerto ai datori di lavoro che possono favorire l’emersione del nero, di italiani o stranieri che siano stati fotosegnalati in Italia prima dello scorso 8 marzo, presentando apposita istanza tra il 1° giugno e il 15 luglio 2020, con l’indicazione della durata del contratto e della retribuzione concordata, previo pagamento di un contributo forfettario di 400 euro per ogni lavoratore, «a copertura degli oneri connessi alla procedura di emersione». Non potranno avvalersi delle nuove misure, però, quei datori di lavoro già condannati per reati come caporalato e sfruttamento dell’immigrazione. Esclusi, altresì, gli stranieri a cui era stato imposto il decreto di espulsione o condannati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
A una primissima analisi, non si tratta di una regolarizzazione indiscriminata che tira dentro tutti. Riguarda solo tre settori produttivi: agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura; assistenza alla persona; lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare. Restano fuori, per esempio, i tanti stranieri impegnati in edilizia, altrettanto coinvolti dal fenomeno del caporalato, sia al Sud quanto nel nord Italia. Eppure i sindacati avevano chiesto con insistenza l’inclusione nel decreto dei lavoratori stranieri presenti nel settore. “La riapertura dei cantieri, insieme all’utilizzo del sistema del subappalto e spesso del massimo ribasso, riproporrà il gravissimo fenomeno del reclutamento di manodopera irregolare in tutta Italia”, avevano scritto in un appello ai ministri delle Infrastrutture e dell’Interno. In effetti l’impossibilità di tornare nei Paesi di origine, la preclusione all’accesso alle misure di ammortizzatori sociali e la solitudine dovuta all’assenza di reti familiari stanno segnando le esistenze di migliaia di lavoratori irregolari che operano in questo settore come in altri non contemplati dal decreto. Ora, Ma la già complicatissima trattativa politica probabilmente si sarebbe definitivamente arenata.
Ad essere coinvolti, comunque, saranno circa 200 mila stranieri irregolari: un terzo degli stranieri “invisibili” che sopravvivono nel nostro Paese. Basti pensare che nel solo settore agricolo secondo le associazioni di categoria sono 250 mila i braccianti stagionali che a causa del timore dell’epidemia mancano nelle campagne italiane. E in pochi giorni sulle piattaforme online aperte da Coldiretti, Confagricoltura e Cia si sono iscritti in 24 mila italiani disposti a fare i braccianti pur di poter lavorare. E ci sono aziende agricole disposte a pagare il volo aereo pur di riavere i propri lavoratori in Italia.
Ma, considerando che dell’articolo 110bis non c’era neanche l’ombra nelle bozze del decreto fino all’ultimo giorno di trattative, il risultato portato a casa dal ministre Bellanova, con l’abile mediazione della ministra Lamorgese, non è certo di poco conto. A riconoscerlo sono, tra gli altri, i 400 docenti universitari firmatari di un appello inviato al governo nell’aprile scorso, che chiedevano l’estensione delle regolarizzazioni degli stranieri a tutti i settori economici del Paese. “Una misura che assicura dignità e salute a molti lavoratori stranieri presenti in Italia e sfruttati. Una battaglia vinta sull’emersione del lavoro in nero”: così ha commentato il decreto il professor Leonardo Becchetti, economista all'Università di Tor Vergata a Roma, tra i promotori dell’iniziativa.
Mentre il direttore della Caritas ambrosiana, Luciano Gualzetti, ieri ha dichiarato: “Mi pare di buon auspicio che l’Italia riparta dall’emersione del lavoro nero per chi si prende cura dei nostri cari e ci permette di godere dei frutti della nostra terra. È un modo per realizzare quei principi di giustizia sociale e tutela del creato che Papa Francesco ci ha indicato nella Laudato si’”.