La croce fatta con parti di barconi naufragati al largo di Lampedusa.
Dalla
Casa del Dialogo di Milano, nata per ospitare incontri tra uomini e
donne delle diverse fedi durante i mesi di Expo, arriva una proposta:
vivere il dialogo interreligioso nel servizio comune ai poveri della
città, riconoscendo il significato spirituale della solidarietà.
Affratellarsi all’altro, per dirlo con le parole del
cardinal
Carlo Maria Martini, che proprio a Milano parlava del dialogo non su
se stesso, ma di dialogo tra e per la gente.
È
questo il senso dell’incontro “Ricostruire il tessuto urbano: le
religioni e il bene della città”, che si è svolto la sera del 21
settembre in via degli Olivetani.
Siamo nella sede
della Comunità di Sant’Egidio, dove si svolgono le lezioni di
italiano per adulti stranieri e dove la sera si prepara la cena da
distribuire ai senza fissa dimora della città. In collaborazione con
il Comune e il Forum delle Religioni (a cui aderiscono 24 realtà
cittadine), dall’inizio di Expo vi ha sede la Casa del Dialogo, uno
spazio in cui ciascuna delle cinque principali religioni (buddismo,
induismo, ebraismo, cristianesimo e islam) ha allestito una stanza
per raccontare il proprio impegno per il dialogo. In una il Corano,
nell’altra il candelabro ebraico, con immagini di abbracci di pace
tra imam, rabbini e vescovi cristiani. La Croce fatta con i resti dei
barconi naufragati a Lampedusa e un’icona ortodossa, il profumo
dell’incenso buddista accanto ai mantra induisti. E tanti video e
foto di incontri interreligiosi, tra cui quella di Mar Gregorios
Ibrahim, il metropolita siro-ortodosso di Aleppo rapito in Siria
nell’aprile 2013 e di cui ancora non si hanno notizie.
Nell’incontro del 21
settembre, la centralità dei poveri come via per vivere il dialogo
interreligioso è collegata alla predicazione di Bergoglio. Del
resto, “misericordia” è una parola attorno a cui si ritrovano le
diverse religioni. «Per Papa Francesco – dice Ulderico Maggi di
Sant’Egidio – il livello di civiltà di un popolo si misura da
come tratta i poveri. Perché i poveri sono decisivi per la nostra
vita di credenti». In un mondo e in una città in cui è normale
difendersi dai poveri, occorre tornare a difendere i poveri: «Da qui
passa la ricostruzione della città quando la convivenza è
distrutta. Babele può diventare la Gerusalemme celeste attraverso
l’amore per i poveri».
I poveri sono persone e
un fatto storico: gli 80mila profughi accolti nei dormitori milanesi
negli ultimi due anni, la donna che chiede, magari fastidiosamente,
l’elemosina ai semafori, il vecchio che a Roma muore in silenzio
nell’appartamento accanto in una casa popolare e non se ne sa nulla
per due anni.
«L’amore per i poveri
– continua Maggi – non può rimanere qualche cosa di astratto.
Gesù di Nazareth insegna a fermarsi davanti all’uomo che soffre, a
non andare oltre o a spostarsi dall’altra parte della strada». È
quello che la comunità anglicana sta vivendo, in una bella alleanza
con Sant’Egidio, nell’accogliere i profughi (più di 3000 in tre
mesi) presso il Memoriale della Shoah di Milano e nel cucinare per i
senza fissa dimora delle stazioni.
Milano, 21 settembre, Casa del dialogo: i relatori della serata.
«Per noi cristiani – dice la
reverenda Vickie Sims – l’incontro con i poveri non è un extra,
è una questione di salvezza. Abbracciare una famiglia siriana in
fuga da Aleppo o un giovane eritreo sopravvissuto ai barconi del
Mediterraneo ci permette di avvicinarci al volto
di Cristo. Il messaggio di Gesù deve inquietare i cristiani:
Incarnazione vuol dire “andare giù”, ci chiede di abbassarci e
incontrare i più deboli della città».
È quello che fa Adil Rabhi, musulmano di Genti di Pace, quando al
Memoriale della Shoah ascolta le storie dei profughi accolti per la
notte: «Capita che parlino
per ore, fino a dover asciugare le loro lacrime».
«Per gli uomini di fede –
spiega Maggi – può essere il modo di essere rilevanti per la
storia di questo mondo, di questa città». La storia si
costruisce a partire dai più periferici, direbbe Papa Francesco.
Concorda anche Bunegab
Benaissa, presidente della Casa della Cultura Musulmana di via
Padova, che ha appena vinto il bando del Comune di Milano per
costruire una moschea (altre due aree sono state assegnate agli
evangelici e ai musulmani del Caim). «Aiutare
i poveri – dice – avvicina le persone. Quando invece vince
l’egoismo, è Satana che fa il suo lavoro».
Succede anche quando, in Siria e Iraq, gli jihadisti uccidono
richiamandosi all’Islam: «Sono
blasfemi, chi è credente in Dio non può fare del male ad altre
persone».
Il
monaco singalese Pannawansa Mandawala aggiunge: «Buddha
propone tre fondamenti: virtù, meditazione e generosità. Per
indicare che siamo interconnessi, uno studioso buddista ha inventato
il termine “inter-essere”. Noi “inter-siamo” e quindi non
possiamo essere indifferenti di fronte alla povertà».
Infine,
il servizio ai poveri è una via per il dialogo anche con persone che
si dicono lontane dalle religioni. Sei anni fa, Assunta Vincenti
aveva un figlio che frequentava la quinta elementare nella stessa
classe di una bambina rom. «Viveva
– racconta la madre – nella baraccopoli di via Rubattino. Quando
la sua famiglia fu sgomberata, conobbi la Comunità di Sant’Egidio
a tarda sera, distribuendo coperte sotto il ponte di una tangenziale.
Da allora, insieme, viviamo una lunga storia di amicizia con i rom
della nostra città: questo incontro mi ha arricchito e reso più
umana. Non ero mossa da dottrine, ma mi sono riconosciuta nel non
girarmi dall’altra parte davanti a chi soffre».