Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
domenica 13 ottobre 2024
 
A MILANO
 

Religioni in dialogo a partire dai poveri

22/09/2015  Buddismo, induismo, ebraismo, cristianesimo e islam, nella sede della Comunità di Sant'Egidio. Tanti fatti, e non solo buone intenzioni, come gli 80mila profughi accolti nei dormitori milanesi negli ultimi due anni.

La croce fatta con parti di barconi naufragati al largo di Lampedusa.
La croce fatta con parti di barconi naufragati al largo di Lampedusa.

Dalla Casa del Dialogo di Milano, nata per ospitare incontri tra uomini e donne delle diverse fedi durante i mesi di Expo, arriva una proposta: vivere il dialogo interreligioso nel servizio comune ai poveri della città, riconoscendo il significato spirituale della solidarietà. Affratellarsi all’altro, per dirlo con le parole del cardinal Carlo Maria Martini, che proprio a Milano parlava del dialogo non su se stesso, ma di dialogo tra e per la gente. È questo il senso dell’incontro “Ricostruire il tessuto urbano: le religioni e il bene della città”, che si è svolto la sera del 21 settembre in via degli Olivetani.

Siamo nella sede della Comunità di Sant’Egidio, dove si svolgono le lezioni di italiano per adulti stranieri e dove la sera si prepara la cena da distribuire ai senza fissa dimora della città.
In collaborazione con il Comune e il Forum delle Religioni (a cui aderiscono 24 realtà cittadine), dall’inizio di Expo vi ha sede la Casa del Dialogo, uno spazio in cui ciascuna delle cinque principali religioni (buddismo, induismo, ebraismo, cristianesimo e islam) ha allestito una stanza per raccontare il proprio impegno per il dialogo. In una il Corano, nell’altra il candelabro ebraico, con immagini di abbracci di pace tra imam, rabbini e vescovi cristiani. La Croce fatta con i resti dei barconi naufragati a Lampedusa e un’icona ortodossa, il profumo dell’incenso buddista accanto ai mantra induisti. E tanti video e foto di incontri interreligiosi, tra cui quella di Mar Gregorios Ibrahim, il metropolita siro-ortodosso di Aleppo rapito in Siria nell’aprile 2013 e di cui ancora non si hanno notizie.

Nell’incontro del 21 settembre, la centralità dei poveri come via per vivere il dialogo interreligioso è collegata alla predicazione di Bergoglio.
Del resto, “misericordia” è una parola attorno a cui si ritrovano le diverse religioni. «Per Papa Francesco – dice Ulderico Maggi di Sant’Egidio – il livello di civiltà di un popolo si misura da come tratta i poveri. Perché i poveri sono decisivi per la nostra vita di credenti». In un mondo e in una città in cui è normale difendersi dai poveri, occorre tornare a difendere i poveri: «Da qui passa la ricostruzione della città quando la convivenza è distrutta. Babele può diventare la Gerusalemme celeste attraverso l’amore per i poveri».

I poveri sono persone e un fatto storico: gli 80mila profughi accolti nei dormitori milanesi negli ultimi due anni, la donna che chiede, magari fastidiosamente, l’elemosina ai semafori, il vecchio che a Roma muore in silenzio nell’appartamento accanto in una casa popolare e non se ne sa nulla per due anni. «L’amore per i poveri – continua Maggi – non può rimanere qualche cosa di astratto. Gesù di Nazareth insegna a fermarsi davanti all’uomo che soffre, a non andare oltre o a spostarsi dall’altra parte della strada». È quello che la comunità anglicana sta vivendo, in una bella alleanza con Sant’Egidio, nell’accogliere i profughi (più di 3000 in tre mesi) presso il Memoriale della Shoah di Milano e nel cucinare per i senza fissa dimora delle stazioni.

Milano, 21 settembre, Casa del dialogo: i relatori della serata.
Milano, 21 settembre, Casa del dialogo: i relatori della serata.

«Per noi cristiani – dice la reverenda Vickie Sims – l’incontro con i poveri non è un extra, è una questione di salvezza. Abbracciare una famiglia siriana in fuga da Aleppo o un giovane eritreo sopravvissuto ai barconi del Mediterraneo ci permette di avvicinarci al volto di Cristo. Il messaggio di Gesù deve inquietare i cristiani: Incarnazione vuol dire “andare giù”, ci chiede di abbassarci e incontrare i più deboli della città». È quello che fa Adil Rabhi, musulmano di Genti di Pace, quando al Memoriale della Shoah ascolta le storie dei profughi accolti per la notte: «Capita che parlino per ore, fino a dover asciugare le loro lacrime». «Per gli uomini di fede – spiega Maggi – può essere il modo di essere rilevanti per la storia di questo mondo, di questa città». La storia si costruisce a partire dai più periferici, direbbe Papa Francesco. Concorda anche Bunegab Benaissa, presidente della Casa della Cultura Musulmana di via Padova, che ha appena vinto il bando del Comune di Milano per costruire una moschea (altre due aree sono state assegnate agli evangelici e ai musulmani del Caim). «Aiutare i poveri – dice – avvicina le persone. Quando invece vince l’egoismo, è Satana che fa il suo lavoro». Succede anche quando, in Siria e Iraq, gli jihadisti uccidono richiamandosi all’Islam: «Sono blasfemi, chi è credente in Dio non può fare del male ad altre persone».

Il monaco singalese Pannawansa Mandawala
aggiunge: «Buddha propone tre fondamenti: virtù, meditazione e generosità. Per indicare che siamo interconnessi, uno studioso buddista ha inventato il termine “inter-essere”. Noi “inter-siamo” e quindi non possiamo essere indifferenti di fronte alla povertà». Infine, il servizio ai poveri è una via per il dialogo anche con persone che si dicono lontane dalle religioni. Sei anni fa, Assunta Vincenti aveva un figlio che frequentava la quinta elementare nella stessa classe di una bambina rom. «Viveva – racconta la madre – nella baraccopoli di via Rubattino. Quando la sua famiglia fu sgomberata, conobbi la Comunità di Sant’Egidio a tarda sera, distribuendo coperte sotto il ponte di una tangenziale. Da allora, insieme, viviamo una lunga storia di amicizia con i rom della nostra città: questo incontro mi ha arricchito e reso più umana. Non ero mossa da dottrine, ma mi sono riconosciuta nel non girarmi dall’altra parte davanti a chi soffre».

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo