Nella foto: Renato Pozzetto in visita all'Expo nell'ottobre 2015 (Ansa)
Sul palcoscenico tutto da solo, per recitare, cantare e accennare anche qualche passo di danza con la musica suonata dal vivo dei The Good Fellas. Renato Pozzetto torna a teatro con Compatibilmente il 16 ottobre a Luino, all’interno del Festival dei Laghi lombardi, una kermesse di teatro, musica e letteratura con un calendario di 18 spettacoli in otto laghi della Lombardia (fino al 16 dicembre 2018). Si tratta del debutto dello spettacolo, prima di fare un tour italiano. Il tutto per celebrare i suoi oltre 50 anni di carriera tra teatro, cinema e televisione.
Che cosa vedremo sul palco?
«Ci saranno alcune scene dei miei film, come Il ragazzo di campagna e È arrivato mio fratello, le canzoni di successo che ho cantato con Cochi come La gallina, La vita l’è bela e altre che ho composto più avanti, come L’aeroporto di Malpensa e La tosse».
È la prima volta in teatro da solo?
«No, mi era già capitato quando Cochi eraimpegnato, e in quel caso lo spettacolo si chiamava Siccome l’altro ha un impegno».
Con Cochi Ponzoni c’è stato un lungo sodalizio. Quando vi siete conosciuti?
«Avevamo due anni. Eravamo entrambi figli della guerra, sfollati da una Milano bombardata a Gemonio, in provincia di Varese. E anche quando siamo rientrati a Milano trascorrevamo le vacanze in quel paese. Siamo amici da allora».
E quando avete cominciato a esibirvi insieme?
«A Gemonio non c’era nulla da fare, il lago era lontano, e allora per disperazione ci siamo messi a cantare. Cochi aveva una chitarra, il nostro pubblico erano gli amici all’osteria, il repertorio canzoni popolari all’inizio, poi brani di Jannacci, Gaber e Dario Fo. Erano già dei grandi e li abbiamo conosciuti in una galleria d’arte notturna di Milano, la Muffola. Poi abbiamo cominciato a esibirci in un piccolo cabaret, Cab 64, da lì il passaggio al mitico Derby. In un certo senso il cabaret lo abbiamo introdotto noi in Italia, con Lino Toffolo, Felice Andreasi, Bruno Lauzi, eravamo il gruppo “Motore” per l’energia che dovevamo sprigionare».
Com’è avvenuta la separazione con Cochi?
«Non c’è stata una vera e propria separazione e sicuramente nessuno screzio. A un certo punto io sono stato chiamato a girare un film in Spagna mentre facevamo Canzonissima con Raffaella Carrà. Poi ha debuttato anche Cochi al cinema, con Cuore di cane di Lattuada, e ognuno ha proseguito la strada per proprio conto. Ma siamo rimasti sempre amici e nel 2000 abbiamo ricomposto il duo, e se ci assiste la salute continueremo anche in futuro a esibirci insieme».
Lei ha lavorato con tanti attori. Chi ricorda in particolare?
«Sono stato molto fortunato e ho avuto ottimi rapporti con tutti. Ma ricordo in particolare Adriano Celentano, con cui ho girato Ecco noi per esempio e Verdone, mio partner in 7 chili in
7 giorni».
Lei è un attore molto amato, e ci sono persone che conoscono a memorie le battute dei suoi film. Che rapporto ha con i suoi fan?
«Ho un carattere piuttosto schivo, e quindi mi sottraggo alla folla. Ma recentemente ho voluto fare un omaggio a un gruppo di fan che si ritrovano ogni anno a Carbonara Ticino per ricostruire la scena di Il ragazzo di campagna in cui i paesani si siedono davanti ai binari ad aspettare l’arrivo del treno. Quest’anno ho voluto far loro una sorpresa e sono andato anche io, portandomi la sedia in auto e sistemandomi in mezzo al pubblico. È stato molto divertente!».
Quanto è importante per lei la famiglia?
«Moltissimo, ho due figli e cinque nipoti, a cui aggiungo anche i sette nipoti di mio fratello, e mi trovo quindi spesso circondato dai bambini, che io amo, e da cui sono ricambiato. Con mio fratello ho anche aperto la locanda Pozzetto a Laveno-Mombello, sul Lago Maggiore: dieci camere con una magnifica vista e un ristorante con un cuoco fantastico, Luigi Pavanello, che stimo molto».
Le capita di andarci spesso?
«Solo nei tempi morti, perché non mi piace trovarmi nella folla che subito tira fuori i telefonini per scattare foto».
Quando la rivedremo al cinema?
«Spero presto. Sto lavorando a un film dal titolo Una mucca in paradiso, dove c’è un nonno di campagna che arriva a Milano per curare un prato del Bosco verticale e porta con sé la sua mucca e si mette a fare il formaggio sopra il grattacielo».
Lei si sente un milanese doc?
«Certo, anche se non ci sono nato, ci vivo e trovo che stia attraversando un ottimo periodo, che sia una città fiorente. Ne vado fiero».