Senatori
e analisti politici dicevano, lunedì, che non è questo il modo di
presentare un programma di governo e chiedere la fiducia al
Parlamento. Può darsi. Ma Matteo Renzi non voleva parlare ai senatori ma agli
italiani. Forse non voleva neanche fare un discorso programmatico ma
presentare semplicemente se stesso, l'ex rottamatore arrivato, sia
pure per vie traverse e senza un passaggio elettorale, a Palazzo
Chigi.
E nella replica di martedì pomeriggio alla Camera lo spartito
non è cambiato affatto: «Fuori
da qui», ha detto, «la gente si aspetta che la politica non sia un
fiume di parole vuoto». Sono cambiate le note (citazioni assortite
di don Milani, La Pira, Aldo Moro, Berlinguer e Chesterton) e lo
stile (niente mani in tasca e sorrisi ironici) ma non la sostanza:
«La nostra generazione non ha più alibi. Se non riusciremo la
responsabilità sarà mia. Questo non è un atto di coraggio, ma di
lealtà». Poi le solite frecciatine al Movimento 5 Stelle che in
mattinata l'aveva infilzato dandogli del “figlio di Troika”:
«Ringrazio Bersani per la sua presenza qui», dice Renzi. «Quando
ho perso le primarie, lui non mi ha cacciato via. Siamo un partito
democratico. Un po' di democrazia interna non fa male a nessuno,
provatela».
Assieme
ad “alibi” e “coraggio”, “fuori da qui” è la terza
parola chiave dei discorsi di Renzi. “Fuori da qui”, cioè dal
Palazzo – ecco il leit motiv del premier – c'è il Paese reale
che io conosco molto bene perché ho fatto il sindaco per lunghi anni
e so cosa significa stare in mezzo alla gente e ai suoi problemi
quotidiani. “Fuori da qui” è un modo di marcare la distanza tra
l'enfant prodige della politica che vuole cambiare l'Italia e la
politica politicante che promette tanto e non fa mai nulla.
Per
questo Renzi annuncia che da mercoledì andrà in giro per l'Italia
ad incontrare le «forze vive» del Paese: aziende in difficoltà, ex
colleghi sindaci, lavoratori, imprenditori, insegnanti. Prima tappa:
Treviso. E annuncia che il primo viaggio all'estero sarà a Tunisi,
«nel cuore di quel mare nostrum che noi speriamo ritorni centrale».
Come a dire, per Bruxelles o Berlino c'è tempo.
I
temi affrontati sono gli stessi del discorso al Senato («Non siamo a
teatro. "Replica del presidente" significa che rispondi
agli interventi, non il bis di ieri», polemizza su Twitter la
deputata grillina Di Vita). Renzi parla ancora di riforma del Titolo
V, legge elettorale, priorità all'edilizia scolastica («la
stabilità delle scuole è più importante di quella dei conti»,
abolizione del Senato («L’Italia avrà soprattutto un Senato senza
che i senatori percepiscano un’indennità, senza che diano la
fiducia al governo, senza che votino il bilancio dello Stato. Una
sola camera voterà il bilancio così si ridurrà il numero dei
parlamentari e porterà ad una semplificazione e valorizzazione di
ciò che potrà fare il Senato libero da un ruolo di camera
paritetica»), riduzione del cuneo fiscale («La doppia cifra è
riferita ai miliardi e non alle percentuali. Se se si riduce di 10
miliardi di euro non credo sia giusto fare sorrisi ironici, se
arriveranno contributi anche su questo tema da opposizioni vi saremo
grati») e infine l'Europa («L’Italia non può arrivare in Europa
con la stessa piattaforma di problemi che ha da anni - ha detto Renzi
- perchè se l’Europa che immaginiamo possa essere messa
profondamente in discussione nel semestre, dobbiamo arrivare con le
cose fatte»), l'abbassamento della pressione fiscale che scatena
l'ironia del Movimento 5 Stelle al quale Renzi ribatte lesto:
«Trovatemi
uno che non lo ha detto, io da amministratore l'ho fatto quindi su
questo tema non comprendo l'ironia».
Infine
il tema dei diritti civili («guai ad arroccarsi, occorre dialogo»)
e la conferma di voler dare la cittadinanza italiana ai figli degli
immigrati nati nel nostro Paese dopo aver compiuto un ciclo scolastico.
I deputati alla fine applaudono molto più calorosamente (ma non ci voleva molto)
rispetto ai senatori. Nel gruppo del Pd c'è Pier Luigi Bersani che è
tornato in Aula dopo la malattia, poco più sotto – nei banchi di
fronte a quelli del governo – c'è anche l'ex premier Enrico Letta
che applaude con eleganza anche lui.
Alcuni deputati vanno verso
l'uscita. «Ci siamo annoiati», mormora qualcuno. «I nostri figli
in Tv hanno detto che Renzi è andato benissimo», sussurrano altri.
Renzi
finisce come aveva cominciato. Prima un omaggio ai «5 milioni di
italiani che fanno volontariato». Chiosa: «Questa è la bellezza!».
Poi ancora citazioni. Nel carosello finale c'è spazio per Chesterton:
«Il
mondo non finirà per la mancanza di meraviglie, ma per la mancanza
di meraviglia». E per il discorso del 2009 di Barack Obama sullo Stato
dell'unione: «La
pagina più bella questo Paese non l'ha ancora scritta».
Bersani
giura: «Il Pd reggerà. E questo governo, che non pecca certo di
umiltà, va aiutato».