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venerdì 18 aprile 2025
 
Governo
 

Renzi alla prova dei fatti

15/02/2014 

Lo staff di Matteo Renzi sta mettendo a punto il programma di governo. Come da manuale, il premier incaricato deve partire con qualcosa di forte e tangibile, condivisibile anche dagli alleati del Nuovo centrodestra che in queste ore – sempre come da manuale – fanno i difficili per aumentare la loro rendita di posizione in seno al Governo. Ma è quasi certo che i primi provvedimenti del nuovo governo Renzi saranno dedicati al lavoro e alla lotta contro la disoccupazione. In fondo il segretario del Pd  non deve far altro che portare avanti quel Jobs Act (o Piano per il lavoro) utilizzato per mettere il fiato sul collo a Letta e poi liquidarlo (anche se lui giura di aver dovuto cambiare in corsa “il finale del film”).

Dunque, come prevede il progetto di Jobs Act, annunciato l’8 gennaio scorso. Come è noto il Piano prevede l’introduzione del contratto di inserimento a tutele progressive, con maggiore flessibilità nei licenziamenti, controbilanciato da un assegno universale per chi perde il lavoro. L’Irap dovrebbe scendere del 10 per cento, con un risparmio d’imposta per le imprese di quasi 2 miliardi e mezzo. Accanto a questo taglio generalizzato scatterebbero incentivi per l’assunzione di giovani under 30: le aziende pagherebbero solo i contributi previdenziali ma non le tasse. Per non parlare del credito di imposta per le nuove assunzioni di giovani. Poi ci sono le imposte sulla persona fisica: il programma di Renzi prevede riduzioni Irpef sui redditi più bassi (23% fino a 15 mila euro, 27% tra 15 mila e 28 mila euro). Tutti provvedimenti meritori. Ma se abbiamo contato bene, l’intero ambizioso piano di sgravi fiscali, sul lavoro e sull’Irpef, prevede una spesa di otto, dicasi otto miliardi di euro. Dove andrà a prenderli, dato che se ne avesse avuto la disponibilità, li avrebbe utilizzati anche il suo predecessore Letta?

Certamente la nuova premiership inizia quando l’Italia torna faticosamente a respirare in superficie dopo anni di apnea sott’acqua. E in effetti il neopremier potrebbe farsi promotore di una nuova stagione ruggente, di lenta e rigogliosa risalita. Maggiore produttività significa infatti maggiore gettito fiscale. Ma in tempi brevi non arriverà ben poco, visto che il Pil è aumentato dello 0,1 per cento. Renzi, fanno sapere i suoi collaboratori economici, per ridare la scossa al motore ingolfato dell'economia italiana confida sul taglio della spesa pubblica (la famigerata spending review), sulla riduzione degli interessi sul debito e sull’ennesimo scudo fiscale che prevede il rientro dei capitali dall’estero, come già prevedeva il governo Lettae  come già aveva fatto il ministro Tremonti. Ma anche da un aumento della tassazione delle rendite, come dice ancora il Jobs Act. Questine molto controversa, perché interverrebbe sui buoni del Tesoro che come è noto costituiscono i sudati risparmi di molte famiglie italiane.

Vi è poi la questione della famosa tassa sulla patrimoniale, più facile a dirsi che a farsi, perché, come hanno spiegato a suo tempo la Fornero e Monti, è difficile effettuare un’anagrafe attendibile delle ricchezze dei paperoni d’Italia. Renzi non ha più attenuanti. Si è preso una responsabilità politica e sociale altissima, ora è premier e il suo non può più essere un libro dei sogni, come quello della Leopolda. Ora deve governare e dimostrare di saper amministrare un Paese "più grande di una città d'arte di cinquecentomila abitanti", come gli ha rinfacciato Berlusconi in una delle sue (rare) critiche.  

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Da scout a rottamatore fino a Palazzo Chigi: la marcia di Renzi
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