A destra è tutto un imbarazzo, un coro di critiche tirate per i capelli, a cercare il pelo nell’uovo: dove troverà la copertura economica? Aveva detto ad aprile e invece ha rinviato di un mese, non ha consegnato il testo del provvedimento. “Chi si crede di essere: Mandrake?”, ha chiosato il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta, avvolto in un mantello di lana caprina.
Ma se l’area del Cavaliere è diventata più incredula di San Tommaso e il Centro (come al solito) non è pervenuto, a sinistra lo sconcerto è totale. Perché è chiaro che non basta un refolo di ripresa a spiegare come mai al tempo dei Governi dell’Ulivo e soprattutto, l’altro ieri, con Enrico Letta, bisognava solo tirare la cinghia e attendere tempi migliori (la ripresona, il semestre di presidenza europeo), mentre i "cari premier" si facevano fotografare visibilmente compiaciuti del loro ruolo al G8, dimostrando padronanza delle lingue e indubbio phisique du role, e invece ora, con l’esuberante e un po’ giulivo ex rottamatore fiorentino, saltano fuori 60 miliardi di crediti alle imprese, 100 euro nette in più in busta paga a chi ne guadagna meno di 1.500, la riduzione dell’Irap e della cedolare sugli affitti, gli investimenti sulla scuola, la riduzione dell'energia, il piano casa, l'intervento contro il dissesto idrogeologico, e, a seguire, - venghino siore e siori - la nuova legge elettorale e le riforme costituzionali che non si fanno dai tempi della Bicamerale, la trasformazione del Senato, le nuove misure sul lavoro e il sussidio universale di disoccupazione. Per non parlare della tassazione alle rendite finanziarie, che è una cosa di sinistra per antonomasia. Senza peraltro toccare i Bot people. Insomma, perché si sono passati vent’anni a chiedere a D’Alema e altri dirigenti di dire qualcosa di sinistra mentre quest’altro magari non ha detto nulla, ma in meno di tre mesi ha fatto qualcosa di sinistra?
Ecco così spiegare i mal di pancia dentro il partito di cui il premier Renzi è ancora segretario, tra coloro che non sono riusciti a riciclarsi e salire sul carro del vincitore, come Dario Franceschini o la giovane ex bersaniana di ferro Madia. Alla vecchia nomenclatura non resta che abbozzare, magari mugugnando tra le incrinature dell’Italicum, come fa il coraggioso e leale Pier Luigi Bersani. L’ex sindaco di Firenze infatti è riuscito addirittura a creare due maggioranze variabili a seconda dei programmi, sdoganando con realpolitik il carissimo nemico della Seconda Repubblica, Silvio Berlusconi. Persino l’ex ministro Fassina, bersaniano di ferro ma anche economista serio, dimessosi dopo le battute feroci dell’eroe dei due forni, ha dovuto riconoscere che quella di Renzi “è la direzione giusta”.
E financo i sindacati, non consultati ma accontentati, hanno dovuto ammettere che “Renzi non ci interpella ma ci ascolta”, come fanno le suocere con i generi irriverenti e sfrontati. Ma è certo che più il ragazzo di Pontassieve si mangia il presente e più il passato dei suoi predecessori appare come il giro di giostra di un gruppo di sepolcri imbiancati, di dorotei rossi e bianchi obbedienti a una vecchia battuta di un vecchio settimanale satirico: “Perché restare fermi quando si può rimanere immobili?”. Forse qualcuno potrebbe imputare all’ex rottamatore di non aver tirato fuori il conflitto di interessi dal cilindro delle sue riforme prossime venture. Ma questo qualcuno -sfortunatamente - non può essere certo uno dei suoi predecessori dentro il Pd.