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martedì 10 settembre 2024
 
Giornata della Memoria 2015
 

Il Premier Renzi: «Un Paese non ha futuro se perde la memoria»

26/01/2015  Il presidente del Consiglio firma la prefazione al libro "A5405. Il coraggio di vivere", in cui Nedo Fiano, sopravvissuto alla Shoah, racconta la sua drammatica esperienza. Il volume è disponibile con "Famiglia Cristiana".

C'è stato un periodo in cui Nedo Fiano è stato un numero. Un periodo esatto, maggio 1944 - aprile 1945, in cui un uomo viene trasformato in un “mezzo uomo”, in un prigioniero, in un condannato. Non aveva ancora vent’anni, Nedo, e tutta una vita avanti a sé, limpida e piena: il padre «alto e generoso», la madre «dal volto dolcissimo», la piccola pensione, il fratello, la scuola. Scene di vita famigliare che Fiano racconta nel suo libro autobiografico A5405. Il coraggio di vivere (disponibile insieme a Famiglia Cristiana in edicola), dove ripercorre, senza infingimenti e senza cercare compassione, la sua esperienza di deportato.

Conosco Fiano personalmente. Per due volte l’ho accompagnato ad Auschwitz nei “viaggi della memoria” insieme con i ragazzi ai quali lui mai smette di raccontare la sua terribile esperienza. Fiorentino di nascita, dopo la deportazione si è rifatto lentamente una vita e poi ha scelto di trasferirsi a Milano, non rinunciando – e questo libro ne è testimonianza – a un’opera di educazione che è una scelta di vita.

Fiano racconta con ritmo inesorabile la vita normale di un giovane fiorentino, il padre addirittura iscritto al Partito fascista, poi le leggi razziali apprese da un articolo di giornale, la cacciata da scuola, la paura, l’additamento come paria dai vicini di casa, lo sfiorire della dignità dai volti dei genitori, la fuga, l’arresto, la prigionia e infine la deportazione.

Fiano trascorre alcuni mesi ad Auschwitz, poi nella zona di Danzica, poi in un altro campo nella Germania centrale, fino alla liberazione. Scrive che tra i motivi che lo salvarono – al contrario di tutta la sua famiglia – ci sono certamente la tempra fisica ma anche l’ottimismo e la conoscenza della lingua tedesca, insegnatagli dal nonno. Al lavoro nel campo lui cantava, malgrado il fumo che usciva giorno e notte dalle camere a gas, malgrado il ringhio dei cani delle SS, malgrado le bastonate dei Kapos. E alla fine, malato e malcurato, fu liberato e poté fare ritorno alla vita, in una Firenze piena di ombre che non riusciva a riconoscere e che presto decise di abbandonare.

Il libro di Fiano è un colpo al cuore perché lui non racconta di numeri, ma di persone con nome e cognome, di amici conosciuti oltre il filo spinato che cadono nella neve, di una madre abbracciata prima dell’addio finale, di un padre che si trasforma sotto i tuoi occhi e cede, di riccioli tagliati, degli zoccoli rubati all’amico e della sua morte per assideramento, della ferita al piede e dell’operazione senza anestesia, della lotta per il pane.

Eppure, anche se è un libro che parla di morte, Fiano lo riempie di vita, di colori, di profumi. Fiano ricorda la campagna lussureggiante e abbacinante dell’estate a Fossoli, nel Modenese, da cui sarebbe partito in un vagone piombato per Auschwitz, il cielo color lavagna di Danzica, le distese di neve, l’odore dell’arrosto rigustato dopo mesi, il sapore delle tagliatelle al termine della prigionia, le barzellette, le risate, le canzoni, perché «la vita può essere capita solo all’indietro ma va vissuta soltanto in avanti».
E quanta di questa vita è rimasta dentro a Fiano, quanto lui, reduce, è tornato a combattere e vivere pienamente, a studiare, a sposarsi, a lavorare, a diventare padre e nonno!

E quanta di questa vita lui mette ogni giorno, ogni anno, senza stancarsi, nel parlare a centinaia di ragazzi, nello spiegare cosa è accaduto, nello scrivere libri e testimonianze perché la memoria non muoia. Sono passati settant’anni da allora. I testimoni diretti sono pochi, il pericolo vero è che, scomparso questo baluardo di memoria, su quanto avvenuto cada il velo dell’oblio o peggio dell’acquiescenza.

L’Autore all’inizio del libro cita un passo del Libro di Gioele: «Raccontatelo ai vostri figli e i figli vostri ai loro figli e i loro figli alla generazione seguente». E alla fine scrive: «Ho sentito il dovere di dare il mio contributo perché il filo della memoria resti saldo nella storia del mondo per gli uomini che verranno. Credo fermamente nel dovere del ricordo perché il nostro passato è in qualche maniera memoria del futuro».

Fiano è a suo modo scomodo. Perché ci fa fare i conti con un passato lontano e disturbante, perché ci dice che l’uomo può essere anche un boia nazista e che si può uccidere per gioco e perché si ha fame più dell’altro. Ma questo è un libro indispensabile. Non ci si può trincerare dietro un “io so già”: c’è sempre da scoprire qualcosa di nuovo, anche se in questo caso è qualcosa di agghiacciante e straziante insieme, c’è sempre da conoscere, da ricordare e tramandare.

Perché non ci può essere qualcuno che trafuga il cartello metallico recante l’iscrizione in tedesco “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”) all’ingresso dell’ex campo di sterminio. Perché non può succedere che alcuni giovani si divertano a farsi fotografare, è successo nel 2009, con addosso simboli nazisti e croci uncinate rinvenuti a Dachau.

Auschwitz fa parte, una parte terribile, della nostra storia. Che non si può profanare. E dimenticare è la peggiore profanazione. Parafrasando un grande fiorentino che proprio da poco tempo è stato iscritto tra i “Giusti delle Nazioni” per le sue azioni che permisero di salvare centinaia di ebrei, Gino Bartali, possiamo dire che «gli è tutto sbagliato, gli è tutto da ricordare». Perché non debba accadere di nuovo. Perché gli uomini rimangano uomini e non diventino numeri.

Matteo Renzi, presidente del Consiglio

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