«A partire da questo momento il sistema politico ha visto aumentare la forza dei partiti che contestavano il sistema e crescere la frammentazione politica, con l’apparizione di numerosi piccoli partiti. Tale situazione rese molto difficile la formazione dei governi, determinando un forte grado di instabilità politica, cui si cercò di ovviare ricorrendo alla formula dei “Governi del presidente”: Governi cioè privi di una maggioranza politica e che pertanto si basavano esclusivamente sull’appoggio del Capo dello Stato. In questo contesto caratterizzato dalla mancanza di attaccamento agli istituti democratici, da un forte conflitto ideologico e da instabilità politica, ha potuto avere fortuna il partito nazionalsocialista di Adolf Hitler».
I costituzionalisti Roberto Bin e Giovanni Petruzzella nel loro Diritto Costituzionale descrivono così il crepuscolo della Repubblica di Weimar stremata dalla crisi economica del 1929. Senza evocare foschi ricorsi storici, ma facendo caso ai venti antidemocratici che soffiano dentro e ai margini dell’Europa, intesa non solo come istituzione, ma come entità territoriale; facendo caso al proliferare di partiti anti-sistema e alla crisi economica che abbassa la soglia dell’attaccamento alle istituzioni democratiche in popolazioni distratte dalle urgenze materiali, siamo sicuri che sia questo il momento di stravolgere l’architettura istituzionale della Costrizione italiana rafforzando i poteri del premier e segando di fatto la gamba del Senato, col rischio di minare l’equilibrio del sistema? Non sarebbe più sicuro tenere saldo l’impianto che ha fatto da baluardo alle istanze antidemocratiche fin qui, provvedendo a correttivi meno invasivi in materia di riduzione dei parlamentari, riforma del Titolo V e bicameralismo perfetto? Chiunque avanzi un dubbio – e sono sorti dubbi autorevoli in materia: Gustavo Zagrebelsky, Nando Dalla Chiesa, Pietro Grasso, Elena Cattaneo per citarne solo alcuni – viene di questi tempi tacciato di “gattopardismo”. Ma tra la conservazione dello status quo e la fretta di cambiarlo comunque sia, costi quel che costi solidità della democrazia compresa, esistono le vie di mezzo. Ponderare, ascoltando le voci contrarie, gli effetti del cambiamento è una di queste.
I costituzionalisti Roberto Bin e Giovanni Petruzzella nel loro Diritto Costituzionale descrivono così il crepuscolo della Repubblica di Weimar stremata dalla crisi economica del 1929. Senza evocare foschi ricorsi storici, ma facendo caso ai venti antidemocratici che soffiano dentro e ai margini dell’Europa, intesa non solo come istituzione, ma come entità territoriale; facendo caso al proliferare di partiti anti-sistema e alla crisi economica che abbassa la soglia dell’attaccamento alle istituzioni democratiche in popolazioni distratte dalle urgenze materiali, siamo sicuri che sia questo il momento di stravolgere l’architettura istituzionale della Costrizione italiana rafforzando i poteri del premier e segando di fatto la gamba del Senato, col rischio di minare l’equilibrio del sistema? Non sarebbe più sicuro tenere saldo l’impianto che ha fatto da baluardo alle istanze antidemocratiche fin qui, provvedendo a correttivi meno invasivi in materia di riduzione dei parlamentari, riforma del Titolo V e bicameralismo perfetto? Chiunque avanzi un dubbio – e sono sorti dubbi autorevoli in materia: Gustavo Zagrebelsky, Nando Dalla Chiesa, Pietro Grasso, Elena Cattaneo per citarne solo alcuni – viene di questi tempi tacciato di “gattopardismo”. Ma tra la conservazione dello status quo e la fretta di cambiarlo comunque sia, costi quel che costi solidità della democrazia compresa, esistono le vie di mezzo. Ponderare, ascoltando le voci contrarie, gli effetti del cambiamento è una di queste.




