Mentre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Maastricht, ultima tappa della sua visita di Stato nei Paesi Bassi nel discorso a trent'anni dalla firma dello storico Trattato europeo, ricorda che sul tema dei migranti servono «scelte condivise dell'Unione europea» e che «La risposta alla sfida migratoria avrà successo soltanto se sorretta dai criteri di solidarietà all'interno dell'Unione e di coesione nella risposta esterna e da una politica lungimirante nei confronti della Regione africana». Mentre sul tema del soccorso in mare si consuma un momento di tensione diplomatica tra Italia e Francia, proviamo a capire quali sono le regole attualmente vigenti in Europa e come si colloca all’interno di esse l’interpretazione che il Governo italiano propone riguardo alla domanda di asilo al Paese di bandiera della nave soccorritrice. Ci aiuta al riguardo un’analisi pubblicata nei giorni scorsi su Questione giustizia a firma di Chiara Favilli professoressa ordinaria di Diritto dell'Unione europea, Università di Firenze.
RAGIONI DEL VIAGGIO IRRILEVANTI SUL PIANO GIURIDICO
«L’obbligo di ricerca e soccorso delle persone in mare è norma di diritto consuetudinario chiara, precisa e incondizionata, idonea a vincolare qualsiasi soggetto pubblico e privato in qualsiasi lembo di mare del pianeta Terra», scrive Favilli: «Ulteriori regole sono state previste a livello convenzionale, dell’Unione e nazionale per concorrere ad applicare tale regola nel modo più efficace possibile». A questo proposito le ragioni per cui una persona abbia intrapreso il viaggio, durante il quale si rende necessario il soccorso in mare sono «cruciali sul piano politico» ma «irrilevanti sul piano giuridico». Sulla base, infatti, della presunzione della qualificazione delle persone salvate in mare come “migranti”, «l’Italia, tutti gli altri Stati membri dell’UE e l’UE stessa hanno pianificato e realizzato una complessa rete di accordi e prassi operative con la collaborazione dei Paesi di origine e di transito volte ad impedire alle persone di lasciare il proprio territorio o quello degli Stati di transito, se prive delle necessarie autorizzazioni per entrare negli Stati dell’Unione. Tali attività, la cui efficacia è in gran parte condizionata dalla volontà di cooperazione dei Paesi di origine e di transito, hanno reso ancora più difficile l’accesso al territorio dell’Unione per tutti, anche per i richiedenti asilo», anche perché i flussi migratori sono “misti” perché nello stesso mezzo di trasporto convivono persone che hanno diritto alla protezione internazionale e persone che non lo hanno senza che si possa saperlo prima. «Anche per questo, le persone soccorse in mare devono essere trasferite nel porto sicuro più vicino, dove potranno ricevere assistenza sanitaria e materiale urgente e richiedere protezione internazionale o essere respinte in mancanza di altri titoli validi per l’ingresso». Anche con le procedure semplificate previste.
REGOLAMENTO DI DUBLINO, UNA NORMA DA RIVEDERE
Una volta sbarcate però, per le persone richiedenti protezione internazionale «l’Italia non è più solo il porto sicuro più vicino, ma anche lo Stato competente ad esaminare la domanda di protezione secondo il regolamento Dublino: in mancanza di presupposti per l’applicazione di uno dei criteri volti a radicare la competenza in un altro Stato membro, si applica infatti il criterio residuale ma ad applicazione prevalente dello Stato di primo ingresso irregolare». Una regola quella di Dublino, che Favilli non esita a definire: «Irragionevole» e che è ritenuta alla base delle tensioni intermittenti che si verificano tra l’Italia e gli altri Stati. In mancanza di riforme: «Solo la cooperazione tra alcuni Stati membri, cosiddetti volenterosi, ha realizzato una timida condivisione degli sforzi delle operazioni di ricerca e soccorso in mare e della successiva accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (...). Se infatti è vero che il numero dei richiedenti protezione internazionale negli Stati di frontiera interna, in primis la Germania, è superiore a quello dei richiedenti in Italia è (...) vero che le modalità delle operazioni di ricerca e soccorso in mare e la quantità di persone che contemporaneamente giungono nei porti di sbarco rendono particolarmente difficili, rischiose e costose tali operazioni. Il combinato disposto poi tra obbligo di ricerca e soccorso in mare e radicamento della competenza ad esaminare la domanda di protezione da parte dello Stato del porto sicuro costituisce un ulteriore profilo di irragionevolezza, tale da richiedere una legislazione diversa a livello di Unione». Si spiega anche così il tentativo del Governo italiano «di aggirare l’applicazione del regolamento Dublino, non applicando l’obbligo di ricerca e soccorso in mare e, in particolare, il conseguente consenso allo sbarco delle persone salvate. Dopo la stagione dei “porti chiusi”, questa è la stagione dei “porti semichiusi”» valutati però nell’analisi come altrettanto illegittimi dei primi.
AMMISSIONE SELETTIVA, I NODI DEL PROBLEMA
«Nel Decreto interministeriale del 4 novembre 2022», spiega Favilli, «adottato dal Ministro dell’Interno di concerto con il Ministro della Difesa e dal Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, si codifica infatti l’ammissione selettiva “nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti autorità nazionali”; a tutte le altre persone viene riservata “l’assistenza necessaria per l’uscita dalle acque territoriali”. Attraverso questa disposizione è chiaramente disciplinato un respingimento collettivo, in violazione del principio di non-refoulement, sancito in molteplici regole di rango internazionale, europeo e nazionale: tutte le persone hanno infatti il diritto di sbarcare in un porto sicuro, non solo i minorenni e coloro che hanno bisogno di cure; nessuno può inoltre essere allontanato dalla frontiera senza un esame individuale della propria situazione».
Stando, invece, a quanto sostiene il Governo, sarebbe possibile applicare una regola diversa “dei Paesi di bandiera”: «Le persone non dovrebbero – cioè ¬– essere sbarcate nel porto sicuro più vicino ma nello Stato di cui la nave batte bandiera». Ma secondo Favilli questa interpretazione trova ostacolo nelle leggi vigenti negli altri Stati: «Il “territorio della nave” non può consentire l’assolvimento di tutte le funzioni esercitabili da uno Stato, come quelle relative all’accertamento degli status, quale è la registrazione delle domande di asilo e l’avvio delle connesse procedure», per le quali vi sono in tutti gli Stati membri autorità allo scopo designate: «gli Stati dovrebbero modificare la propria legislazione e conferire tale competenza al Capitano di una nave, con tutti i problemi organizzativi connessi». Tanto più che: «Non esiste Stato al mondo che consenta alle persone salvate in acque internazionali di chiedere asilo nella nave. E non esiste perché gli Stati hanno ostinatamente contrastato qualsiasi prassi volta a richiedere asilo al di fuori del territorio statale, sia in una nave in acque internazionali, sia in una rappresentanza diplomatica in uno Stato straniero». Anche perché l’affermazione della regola sostenuta dal Governo italiano potrebbe «scaturire effetti di grande apertura in relazione alla possibilità di presentare domande di protezione internazionale prima dell’ingresso nel territorio statale ed è anche questa una ragione per la quale è altamente improbabile che gli altri Stati membri dell’Unione l’accettino».
In mancanza di una regola simile «rimane la possibilità che uno Stato consenta al capitano delle navi che battono la propria bandiera di ricevere le domande di protezione internazionale». Cosa che però non supererebbe il dovere di sbarcare le persone: «Nella remota ipotesi», esemplifica Favilli «che una domanda di protezione fosse presentata al capitano di una nave battente bandiera tedesca, l’Italia, se richiesta ed individuata come il porto sicuro più vicino, dovrebbe comunque consentire lo sbarco delle persone e poi, in caso di presentazione della domanda di protezione anche in Italia, invocare l’applicazione dell’art. 13 del regolamento Dublino nei confronti della Germania come Stato di primo ingresso irregolare».
FINCHÉ NON SI RISCRIVONO, PER LE RICHIESTE DI ASILO VALGONO LE REGOLE ATTUALI
Nel frattempo al massimo l’Italia potrebbe suggerisce Favilli: «Sostenere la propria tesi con tutti gli strumenti giuridici e diplomatici esistenti, anche intervenendo in giudizi nazionali e invocando un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sul punto. Trattandosi infatti di una regola inesistente, la recente prassi del Governo italiano potrebbe essere intesa come volta ad introdurre una modifica del quadro giuridico vigente, con l’affermazione di una regola nuova. Il Governo potrebbe anche ambire a modificare la regola della ricerca e del soccorso in mare, oltre che l’interpretazione dell’art. 13 del regolamento Dublino. Tuttavia, fino a quando le regole non saranno cambiate e nuove regole non saranno affermate, prassi difformi costituiscono una violazione delle regole esistenti».