di Maria Rita Galati
Riace è il borgo rinato sui sogni dei migranti e sulla caparbietà di un sindaco che non si è rassegnato a veder spegnere lentamente il proprio paese che restava senza vita, spopolato da fame e partenze. La fiamma della speranza si è ravvivata accogliendo e abbracciando il dolore e la sofferenza di chi arrivava dal mare senza un futuro davanti, nel momento in cui questo comune abbarbicato sulle colline aride a ridosso dell’Aspromonte, la gente più a sud del sud senza farsi domande ha iniziato a dividere con quei volti muti rimessi in spiaggia dal mare il niente che cresce tra le pietre lungo le strade sconnesse che portano al borgo. È il modello Riace, pensato e realizzato dal sindaco Domenico Lucano che in Calabria ha dato forma all’accoglienza e rischia di morire perché ministero dell’Interno e Prefettura di Reggio Calabria hanno deciso di “chiudere i rubinetti” e non erogare i fondi per il mantenimento dello Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati che coinvolge gli enti locali, ndr).
Una battaglia burocratica fatta di carte bollate e ispezioni che secondo il sindaco di Riace hanno l’obiettivo di porre il bavaglio a un’esperienza che ha dimostrato nei fatti come l’accoglienza e l’integrazione siano una risposta e una soluzione alla gestione dei flussi migratori. Un lucido disegno messo in campo per “cancellare” il modello Riace, avamposto dell’integrazione e dell’accoglienza degli ultimi, chiaramente poco gradito a livello nazionale nel nuovo corso a trazione leghista. Mimì, come lo chiamano tutti, si oppone a questa nefasta prospettiva. Il 2 agosto ha iniziato lo sciopero della fame e sabato mattina ha tenuto una conferenza stampa alla presenza del governatore della Calabria, Mario Oliverio. C’era anche Padre Alex Zanotelli e un consigliere regionale della Lombardia Uselli, della lista Bonino. E soprattutto ci sono donne e bambini, mamme che piangono perché hanno paura di essere “sradicate” dal loro mondo, il solo che conoscono da quando sono in Italia, la loro casa che non è fatta di cemento e mattoni, ma ha le pareti calde e sicure degli abbracci di una comunità intera che diventa famiglia.
Gabriel ha sette mesi, due occhi talmente grandi e profondi da rimanerne incantati. È uno dei dieci bambini nati a Riace da gennaio a oggi, in quel borgo rinato sui sogni dei migranti e sulla caparbietà del suo sindaco che oggi protesta senza rassegnarsi ad “una grave ingiustizia”. «Siamo qui per solidarietà ma anche per dire con fermezza che questa esperienza non può e non deve morire. Ho contattato il ministero dell’Interno – rivela Oliverio – per protesta e manifestare incredulità per il modo in cui si sta trattando questa problematica: un modo burocratico e totalmente avulso rispetto al significato di un’esperienza positiva alla quale guarda tutto il mondo. Mi è stato comunicato che sarebbero state assunte misure di definanziamento: è una decisione gravissima da parte del ministero perché non tiene conto della realtà di questa esperienza e ne rappresenta l’anticamera della condanna a morte. È una decisione che va riconsiderata con lo sblocco dei finanziamenti. Lo Stato – rimarca Oliverio – non può tirarsi indietro rispetto a un’esperienza quale quella di Riace che ha messo in campo un’utilizzazione dello Sprar molto più feconda e avanzata di tante altre realtà nelle quali pure questo progetto si pratica quotidianamente. Salvini deve venire a Riace, deve visitare Riace prima di metterla in liquidazione, perché è chiaro che sorge, legittimamente, il sospetto che dietro la decisione di definanziamento ci sia un’operazione e una volontà politica di affossare questo modello. Chiederemo un arbitrato con organi terzi, quindi al di sopra di ogni sospetto, per verificare se qui gli immigrati sono vessati o vivono in condizioni dignitose. Ribadisco – afferma Oliverio – che intravvedo un tentativo per far condannare il modello Riace. Ma noi non molliamo, perché qui c’è in gioco una concezione e una visione rispetto a un fenomeno che non è circoscritto a una stagione limitata ma a una fase storica».
«Aspetto che venga qui il presidente Mattarella»
Il sindaco Lucano continuerà il suo sciopero della fame «fino a quando – confida – non verrà qui il presidente della Repubblica o fino a quando dal ministero dell’Interno non arriveranno i fondi che ci spettano per servizi già svolti». Secondo il primo cittadino, «l’erogazione di questi fondi è un atto dovuto nei confronti di una comunità di oltre 300 persone. Non comprendo come Prefettura e ministero dell’Interno abbiano potuto pensare come potesse andare avanti una comunità di oltre 300 persone senza questi fondi. In una terra come la Locride e in un periodo di grave crisi soprattutto per la mancanza di lavoro noi qui – afferma il sindaco – abbiamo fatto un piccolo miracolo, ma adesso siamo sulla strada di non ritorno. Non mi resta altro da fare, davanti a pretesti burocratici assurdi che ti fanno entrare in un tunnel da cui non si esce”. A preoccupare Lucano però è un nemico ancora più grande: “C’è un clima di odio in Italia, un accumulo di tensione che sta durando da alcuni mesi, c’è una deriva disumana, questo governo – dice Lucano – si sta macchiando di crimini contro l’umanità. E questi atteggiamenti noi qui, li percepiamo in modo molto più diretto. Sulla nostra esperienza – conclude poi ilo sindaco – da due anni è stato apposto quasi un bavaglio, non si vuole che si sappia, non si vuole che Riace dimostri che è possibile e che, da una terra così depressa, sono possibili l’accoglienza e la soluzione ai problemi. Questo evidentemente dà fastidio, ma noi non ci fermiamo».