«Il senso dell'appartenenza comune
prevale rispetto alle differenze che pure ci sono. Nonostante le
diverse iniziative di dialogo, però, il condominio cristiano è
ancora strutturato in appartamenti separati dove ogni confessione
vive per conto suo». Usa questa metafora il teologo e pastore
valdese Paolo Ricca per descrivere lo stato dell'arte dei rapporti
tra cristiani.
Ricca collabora con il Segretariato
Attività Ecumeniche e per 15 anni è stato membro della Commissione
del Consiglio ecumenico delle Chiese con sede a Ginevra.
Professore, a che punto siamo?
«I rapporti alla base sono buoni nel
senso che i cristiani delle diverse confessioni avvertono di più la
loro reciproca appartenenza comune più che le differenze che li
dividono. Dal punto di vista ufficiale e istituzionale però non è
successo nulla e siamo ancora fermi».
Eppure negli anni scorsi non sono
mancati passi avanti.
«È vero, basti pensare al documento
sulla giustificazione della fede firmato nel '99 tra cattolici e
luterani oppure, nel 2001, la Carta ecumenica sottoscritta da tutte
le chiese cristiane d'Europa. Tutti documenti importanti ma che non
hanno prodotto i frutti concreti sperati».
Cosa manca?
«La condivisione della mensa
eucaristica, ad esempio. I cristiani celebrano per conto proprio la
cena del Signore. C'è una sorta di apartheid eucaristica che
dovrebbe finire. Su questo, che è un punto importantissimo, non si
sono fatti progressi. Diciamo che la situazione, nel complesso, è
abbastanza contradditoria».
Papa Francesco, a giudicare dai primi
gesti almeno, dimostra di avere molto a cuore il dialogo ecumenico.
«Non
c'è dubbio, questo Pontefice ha un piglio nuovo, diverso, un po' più
libero dalla tradizione alla quale ci hanno abituato i suoi
predecessori. Bergoglio si è presentato al mondo come vescovo di
Roma legando il suo ministero alla diocesi romana. Tutte cose
importanti, segnali positivi che fanno intravedere una promessa ma
non incidono ancora sulla realtà concreta dei rapporti. Finora il
Papa non si è pronunciato in maniera chiara sulla questione. Mi
spiego meglio: non c'è ancora un segnale che dimostri che Francesco
voglia prendere decisioni concrete verso l'unità dei cristiani anche
se tutto quello che ha fatto finora va nella direzione giusta».
Cosa
dovrebbe fare concretamente, secondo lei?
«Nel
2017, ad esempio, il mondo protestante ed evangelico celebrerà il
500esimo anniversario della Riforma protestante. È l'occasione
giusta non dico per togliere le scomuniche – quel che è successo è
successo e non si può cancellare – ma per dire che esse non hanno
più valore e che il Protestantesimo è una chiesa e non una comunità
ecclesiale come ha detto il Concilio Vaticano II. Queste sono cose
concrete che, se fatte, avvicinerebbero in maniera sostanziale le
chiese cristiane e la loro unità».