«Se c’è una cosa da rilevare è che
i cattolici sono tornati a incontrarsi,
come non accadeva da
tempo». Andrea Riccardi, professore
di Storia, fondatore e leader della Comunità
di Sant’Egidio, alla fine non ci trova
nulla di strano se le associazioni e i movimenti
dell’ampio e variegato mondo cattolico
si mettono intorno al tavolo per discutere
del Paese e forse anche per proporre qualche
soluzione ai suoi guai. Ma non ci sta a definire
l’appuntamento di Todi, dove il 17 ottobre
si riuniscono le sigle del laicato cattolico ecclesiale
e sociale insieme al cardinale Angelo
Bagnasco, come una sorta di Opa dei cattolici
sulla politica e sul Palazzo.
– Perché, professore?
«È riduttivo, sembra che siano gli Stati generali
per dar vita a un partito. Invece è un
processo che, secondo me, non deve portare
alla costituzione di una nuova “balena bianca”,
o piuttosto di un bianco pesciolino».
– E allora a cosa?
«Intanto sgombriamo il campo, appunto,
dalle cose: nessuna “cosa bianca”, perché
non c’è all’orizzonte nessuna strategia per costruire
una organizzazione, neppure di pressione
sulla politica. Insomma nessun Comitato
civico e nessun leader da legittimare».
– Eppure si dice che lei sia il leader di questo
movimento, cioè del “soggetto” di ispirazione
cristiana che sappia interloquire con
la politica, secondo le parole del cardinale
Bagnasco...
«Assolutamente no. Io non mi candido a
niente. A Todi ci vado, passo e saluto, esprimo
una mia simpatia e poi riparto. Ho impegni
all’estero».
– E cosa dirà?
«“Coraggio fratelli d’Italia”, perché lì c’è
gente che ama questo Paese come dovremmo
fare tutti».
– Invece?
«Vede, in Italia c’è tanta gente che ama
l’Italia, che soffre e si dà da fare. Poi c’è la
politica e in mezzo l’abisso. Chi ama il Paese
deve lavorare per colmarlo, questo abisso».
– Per questo parla di processo?
«Sì e sarà lungo. Anzi, se qualcuno cerca
scorciatoie sbaglia. La tensione morale, la
passione per lo Stato e per una società più solidale,
l’elaborazione di un sistema di governo
più saldo e più vicino ai cittadini non si inventano
in un paio di riunioni. Occorre tempo
e grandissima competenza».
– Ma il “soggetto” dove si colloca?
«Mi permetto di dire che se la discussione
si limita alla ricerca di un posto dove stare,
fuori dai denti a destra o a sinistra o al centro,
si commette un errore, non è una cosa
molto utile. Un processo funziona solo se il
cammino che si intraprende riesce a proporre
analisi profonde sulle quali si trova una
convergenza. Noi siamo in questa fase. Se invece
si vuole discutere di strategie e della ricerca
di leader io non ci sto più».
– Quindi nessuna Opa cattolica, in vista delle
elezioni, sull’elettorato che fin qui ha votato
il Cavaliere?
«A me non piace la dietrologia. Lo stato
dell’arte è il seguente: c’è un Paese in crisi, la
politica non comunica più con la gente, vince
l’antipolitica e dietro l’angolo ci sono sentimenti
di ribellismo. Prendersi cura della
“cosa pubblica”, come si diceva una volta,
sembra una follia, libertà ormai è diventato
sinonimo di licenza. Eppure quasi nessuno si
rende conto delle conseguenze drammatiche
di tutto ciò. I cattolici, che hanno costruito la
democrazia in Italia, insieme ad altri, con
grande passione e responsabilità, possono
stare a guardare la casa che crolla e le macerie
che si accumulano? Io credo di no».
– Quindi questa che fase sarebbe?
«Siamo in una fase movimentista, mi verrebbe
da dire, non in quella dell’organizzazione.
Nessuno deve pretendere adesso di ergersi
a leader. Ci sono associazioni, movimenti,
circoli intellettuali, gente varia insomma,
che intendono aprire tavoli di confronto
con tutti».
– Anche con i partiti?
«Piano. Non siamo ancora a quella fase.
Prima bisogna compattare un movimento,
che oggi è multiforme. Direi che siamo sul
terreno pre-politico».
– Dentro ci saranno solo cattolici?
«E perché? Il confronto va fatto anche con
i laici, cioè con tutti quelli che credono nella
ripresa di un’iniziativa che parli alla politica
e alla gente».
– Ma un’organizzazione è necessaria. Il Forum
di Todi è una prova generale?
«No è un Forum, serve per produrre idee.
Oggi c’è bisogno di idee, il resto viene dopo.
Todi è una tappa di un processo e io mi auguro
che ci siano tanti altri appuntamenti importanti
».
– Mi scusi se torno sul tema della leadership.
Un processo, dunque una transizione
verso una meta, qualcuno lo dovrà pur guidare,
o no?
«Un processo è guidato dalle idee buone
che tante persone, se vuole tanti leader, riescono
a mettere insieme per uscire dalla palude
di una società troppo atomizzata, neoindividualista,
dove ognuno pensa solo a sé stesso
e tuttavia si lamenta, chiuso in sé tra deprecazione
e impotenza. Il leader si troverà, verrà
fuori dal processo, forse c’è, forse non lo vediamo,
ma lo troveremo. Questa, ripeto, è la
fase della pazienza, una fase dove il nemico è
la fretta, nella quale è sbagliato rispondere alla
domanda dove sei e con chi stai. Perché o
noi tutti siamo capaci di elaborare “idee lunghe”,
cioè visioni che riempiono un orizzonte
che davvero oggi è vacuo, con umiltà e lealtà,
senza dire dove voglio collocarmi, oppure saremmo
travolti dalla nebbia che si farà più intensa
e dalla tempesta che si farà più rovinosa.
I cattolici voglio evitare che l’abisso si allarghi
oltre la misura già tragica di oggi».