Il teatro di Jerash, in Giordania
Tre concerti. Il 7 luglio a Ravenna, il cui porto di Classe l’imperatore Augusto scelse per la flotta del Mediterraneo orientale. Il 9 luglio nell’anfiteatro di Jerash , l’antica Gerasa dei Romani, una delle più antiche città della Giordania. L’11 luglio nel Teatro Grande dell’antica Pompei. Riccardo Muti porta le Vie dell’Amicizia, il progetto di Ravenna Festival che dal 1997 visita luoghi simbolo della storia antica e contemporanea (si cominciò con una Sarajevo ancora ferita dalla guerra), alla riscoperta del comune passato romano e del patrimonio archeologico che lega due città a lungo sepolte (una dalla cenere del Vesuvio, l’altra dalle sabbie del deserto).
Ma il progetto vuole anche costruire ponti, invitare al dialogo e offrire conforto. Ecco allora che il viaggio in Giordania offre l’occasione per rendere omaggio alla generosa accoglienza del popolo giordano. Secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), il Paese ospita 757.805 rifugiati e richiedenti asilo, di cui il 12,5 per cento sono bambini sotto i cinque anni e quasi il 5 per cento ha più di 60 anni. In base al Paese di provenienza, i rifugiati e i richiedenti asilo registrati sono per l’88,5 per cento siriani, per l’8,8 per cento iracheni e per l’1,7 per cento yemeniti; quasi l’1 per cento proviene dalla Somalia e dal Sudan e lo 0,2 per cento da altri Paesi. Inoltre, la Giordania ha ospitato più di 2 milioni di rifugiati palestinesi registrati presso l'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA). Per questa ragione, in Giordania, Ravenna Festival visiterà anche il campo rifugiati di Za’atari, al confine con la Siria, aperto nel 2012, per un momento musicale con artisti siriani della diaspora e musicisti residenti nel campo, a cui saranno portati in dono nuovi strumenti.
Su tutti e tre i palcoscenici, la direzione di Muti unirà l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e il Coro Cremona Antiqua a musicisti giordani nel II atto da Orfeo ed Euridice di Gluck, in arie e cori dalla Norma di Bellini (fra cui “Casta diva”) e nel Canto del destino di Brahms.
lo Schicksalslied op. 54 che Brahms modellò sui versi di Hölderlin era stato parte del programma dell’ormai storico primo concerto dell’Amicizia a Sarajevo e sarà riproposto quest’anno. Meditazione sul destino dell’uomo, sul rapporto con il divino e sul mistero della morte, il Canto del destino è il dubbio insolubile che si fa musica. Lo stesso dubbio che nella partitura dell’Orfeo ed Euridice di Gluck, per la quale sarà in scena anche il controtenore Filippo Mineccia, il protagonista prova a sciogliere, sfidando le Furie e varcando il confine oltre la morte per riportare a sé l’amata; lo stesso dubbio che attraversa la preghiera di Norma alla luna, la sua invocazione alla pace, nell’opera di Bellini (per la quale sono coinvolti il soprano Monica Conesa e il basso Riccardo Zanellato). Una risposta si leva forse nell’estatica luce che chiude il canto di Brahms, quasi un messaggio di redenzione e di speranza.