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domenica 23 marzo 2025
 
 

Vita (dura) da ricercatore

26/09/2013  La testimonianza di un ricercatore in ambito biomedico: «Inizio alle 8 di mattina ed esco alle 20 di sera, guadagno più dei colleghi di altri ambiti, 1.700 euro al mese, e mi fa rabbia che lo Stato non creda nel mio lavoro».

Davide Balmativola è medico da tre anni, dottorando in Scienze biomediche e oncologia umana all’Università di Torino da uno. Ha accettato di raccontare la sua vita da ricercatore, anzi aspirante tale, perché dal dottorato al titolo di ricercatore passa spesso tanta tortuosa strada.

Come è arrivato alla ricerca?

«Nel mio ambito è un fatto consequenziale ad altre scelte, sono specializzando in Anatomia patologica e la ricerca per noi è sbocco naturale. Far combaciare specialità e dottorato significa ovviamente non poter cumulare borsa di studio e compenso per la specialità, quindi io faccio un dottorato senza borsa».

Si campa?

«Abbastanza, meglio che in altri ambiti di sicuro. Per altri settori la situazione è davvero terribile. L’assegno da specializzando mi avvantaggia: 1.700 euro mensili anziché le 1.000-1.200 della borsa».

Il raddoppio significa doppio impegno? Com’è la sua giornata?
«Lunga: inizio alle 8,15 circa in ospedale, dividendomi tra esami e ambulatori e diagnostica secondo le esigenze cliniche e il lavoro di ricerca vero e proprio. E’ un lavoro che richiede tempo, sià per l’attività di laboratorio sia per il tempo che si impiega nella gestione di enormi database. La sera non esco prima delle 20».

Il fatto che molti suoi colleghi medici virino verso la clinica riduce la concorrenza  nella ricerca?

«No, perché chi non ambisce a chiudersi in laboratorio, magari non disdegna di ambire a fare il professore universitario: il percorso è lo stesso e la concorrenza è agguerritissima».

Dal suo punto di vista quando “investe” in senso lato lo Stato italiano nella ricerca, quanto ci crede?

«Non abbastanza c' è un interesse scarso e fa rabbia, perché io lavoro in un ambito in cui vedo risultati direttamente applicati alla pratica, alla clinica e mi rendo conto che se ci si credesse di più in termini economici e di convinzione si potrebbero raggiungere risultati ancora migliori di quelli che comunque otteniamo».

Grazie a che cosa?

«Alla capacità di realizzare gruppi di lavoro efficaci a dispetto delle difficoltà».

Quali?

«Il reperimento dei fondi, anche se in ambito medico è meno difficile che altrove, la burocrazia complicatissima che succhia tempo ed energia, anche se capisco che a volte le carte sono necessarie perché significano trasparenza».

Punto dolente: il ministro Carrozza ha parlato di necessità di moralizzare i concorsi…

«Già e il problema è noto. In questo, giusto dirlo, mi sento fortunato: vedo applicato nel mio dipartimento d Scienze mediche un criterio molto meritocratico e questo mi dà speranza. Non che io sia sicuro di farcela, ma almeno quello che mi vedo attorno mi  conforta, mi fa dire che l’impegno non è sprecato. Poi magari sono ingenuo ogni tanto me lo dico».
Ma a 28 anni si può forse si deve.

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